AFPC – Silvestri
La mancanza di agibilità non determina la nullità del contratto di compravendita immobiliare.
Sono sempre più frequenti le controversie giudiziali riguardanti la validità/efficacia di contratti – sia preliminari che definitivi – di compravendita aventi ad oggetto immobili che presentano delle criticità dal punto di vista urbanistico/edilizio oppure che mancano dei requisiti previsti dalla Legge per la loro agibilità/abitabilità o ancora che si rivelano sprovvisti della documentazione comprovante la loro regolare agibilità.
Risulta utile fare chiarezza in merito, cercando di approfondire sinteticamente gli istituti coinvolti, a fronte anche degli interventi normativi che hanno riguardato la materia nel corso degli anni.
Abitabilità ed agibilità
In passato si è spesso riscontrata una certa difficoltà a distinguere i concetti di abitabilità ed agibilità considerato che, sino all’anno 2001 e prima dell’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), il certificato di abitabilità ed il certificato di agibilità erano due documenti differenti. L’abitabilità era collegata ai requisiti dell’immobile rispetto alle specifiche destinazioni d’uso, in particolare l’uso abitativo, mentre l’agibilità edilizia era legata alla disciplina generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile.
Con il D.P.R. 380/2001 il legislatore ha quindi soppresso il dualismo fra i termini “agibilità” e “abitabilità”, i quali, nella precedente normativa, venivano spesso utilizzati indifferentemente in quanto le due espressioni erano di fatto omogenee e non richiedevano per il rilascio del rispettivo certificato procedimenti amministrativi diversi.
Attualmente, quindi, non vi è più alcuna differenza tra i due termini che possono essere utilizzati indistintamente, anche se, invero, è prassi comune usare più di frequente il termine “agibilità”.
La nuova Segnalazione Certificata di Agibilità
Il certificato di agibilità assolveva alla funzione di attestare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto disponeva la vigente normativa (art. 24, co. 1, D.P.R. 380/2001). Detto documento era richiesto per le nuove costruzioni, per le ricostruzioni o sopraelevazioni, nonché per gli interventi sul costruito che potessero influire sulle condizioni di salubrità, igiene e sicurezza. Si parla volutamente al passato di tale certificato poiché quest’ultimo è stato sostituito dalla c.d. “Segnalazione Certificata di Agibilità”.
La Segnalazione Certificata di Agibilità – introdotta nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 222/2016 che ha modificato l’art. 24 del D.P.R. 380/2001 – è la certificazione attualmente necessaria a provare l’agibilità di un immobile (o parte di esso) che attesta “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente nonché la conformità dell’opera al progetto presentato”.
L’odierna normativa prevede infatti che l’agibilità dell’immobile non sia più certificata dal Comune, a seguito della presentazione da parte dell’interessato di tutta la documentazione a tal fine necessaria, ma che la stessa venga certificata dal professionista abilitato, previo recupero ed accertamento di tutti i documenti attestanti le condizioni di sicurezza, salubrità e conformità rispetto la normativa vigente. La segnalazione in oggetto deve essere presentata all’ufficio comunale competente entro 15 giorni dalla comunicazione di fine lavori; la mancata presentazione della segnalazione di agibilità entro detto termine comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria.
La certificazione, tuttavia, non garantisce la sussistenza effettiva dell’agibilità dell’immobile per cui viene richiesta, come confermato dall’art. 26 del D.P.R. 380/2001: “La presentazione della segnalazione di certificata agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’art. 222 del Regio Decreto 27 luglio 1934 n. 1265”.
Regolarità urbanistico-edilizia ed abitabilità/agibilità di un immobile
Un aspetto su cui si riscontrano spesso dubbi in materia riguarda il rapporto tra regolarità urbanistico-edilizia di un immobile e abitabilità/agibilità del medesimo.
I due concetti si posizionano su due piani distinti in quanto titolo abilitativo e certificato di agibilità non sono atti tra di loro collegabili (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 4309/2014).
Lo stesso legislatore prescrive (a pena di nullità) la menzione nell’atto di alienazione del titolo abilitativo in virtù del quale l’immobile oggetto di contratto è stato edificato (ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 380/2001), ma, al contrario, non richiede alcuna menzione della documentazione attestante la regolare abitabilità/agibilità di detto immobile. Come specificato nel precedente paragrafo, il rilascio del certificato che attesta l’agibilità determina infatti solo una presunzione iuris tantum di conformità urbanistico-edilizia dell’edificio – in quanto fondata su una dichiarazione di parte e non su di un procedimento che attesti l’effettiva conformità – ma non sana in alcun modo eventuali abusi edilizi commessi sull’immobile.
Con riferimento quindi all’efficacia/validità dell’atto traslativo, si considera perfettamente valido ed efficace il contratto di compravendita dell’immobile sprovvisto del certificato di abitabilità/agibilità oppure, addirittura, privo dei requisiti previsti dalla Legge per la sua agibilità/abitabilità. Ed infatti, in sede di stipulazione del contratto di compravendita di un immobile sprovvisto dell’agibilità, le parti possono espressamente convenire di trasferire il bene a prescindere dall’esistenza di tale presupposto. In tal caso, è indubbio che l’acquirente avrà attentamente valutato l’opportunità di procedere all’acquisto del bene, pur nella consapevolezza dell’assenza dell’agibilità.
Risulta dunque evidente che l’assenza dell’agibilità incide sul corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita ma non sulla validità del contratto stesso, salvo che l’assenza di agibilità comporti l’assoluta impossibilità giuridica di godimento del bene.
Assenza di agibilità: incommerciabilità economica o giuridica?
Come precisato sopra, pur essendo innegabile una sostanziale correlazione tra il profilo dell’agibilità e quello della conformità urbanistico-edilizia, è opportuno ribadire che questi risultano giuridicamente distinti, non potendo la regolarità dal punto di vista urbanistico sanare il difetto di agibilità, e viceversa. Si può quindi affermare che se l’agibilità non incide sulla commercialità giuridica dell’immobile, costituendone tuttavia presupposto di utilizzabilità, incide invece sulla sua commercialità “economica”, con tutte le conseguenze contrattuali che ne derivano.
Quando si sente l’utilizzo di espressioni del tipo “l’immobile non è agibile e quindi è incommerciabile” bisogna rammentare che la richiamata incommerciabilità non va intesa in senso giuridico, bensì in un’ottica esclusivamente economica. È indiscusso infatti che un bene sprovvisto dell’agibilità possa liberamente circolare, sebbene tale circostanza ne limiti in parte il godimento. L’espressione citata è, dunque, atecnica, ponendosi il difetto di agibilità esclusivamente sul piano del corretto adempimento degli obblighi scaturenti dal contratto di vendita, ma non costituisce vizio genetico del rapporto contrattuale. Quanto appena dedotto è anche confermato dal fatto che, nonostante copiosa giurisprudenza faccia riferimento alla incommerciabilità degli immobili sprovvisti di agibilità, in nessuna pronuncia è mai stata effettivamente posta in contestazione la validità del negozio concluso.
In sintesi, un immobile sprovvisto dell’agibilità non è incommerciabile, subendo esclusivamente un deprezzamento rispetto al valore che avrebbe in caso contrario, considerate sia l’impossibilità di pieno godimento dello stesso che le spese eventualmente necessarie al fine dell’ottenimento dell’agibilità.
Strumenti di tutela
Con riferimento ai rimedi giuridici che offre il nostro ordinamento alla parte acquirente in caso di compravendita di un immobile sprovvisto di agibilità, si possono distinguere tre ipotesi:
— Inagibilità sostanziale “radicale”. La mancanza dell’agibilità non viene considerata come un semplice vizio dell’immobile (di gravità tale da rendere la cosa inidonea all’uso cui è destinata) bensì come la consegna di una cosa al posto di un’altra (la c.d. consegna di “aliud pro alio”) in presenza della quale la parte acquirente potrebbe domandare al Giudice la risoluzione del contratto.
Si evidenzia infatti che secondo recente giurisprudenza (ex multis, Cass. Civ., sent. n. 2294/2017) in caso di vendita di un immobile privo dei requisiti previsti dalla Legge per la sua abitabilità/agibilità trova applicazione la disciplina generale in materia di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., ben potendo la parte acquirente rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione. La menzionata sentenza afferma che “integra ipotesi di consegna aliud pro alio il difetto assoluto della licenza di abitabilità ovvero l’insussistenza delle condizioni necessarie per ottenerla in dipendenza di insanabili violazioni della legge urbanistica”. Si evince pertanto che in ipotesi di questo tipo è legittima sia la domanda di risoluzione del contratto che quella di risarcimento del danno.
L’azione di risoluzione, tuttavia, non può essere esperita quando:
– la parte acquirente, al momento della stipulazione del contratto di compravendita, era a conoscenza della mancanza dei predetti requisiti;
– le parti avevano concordemente ed espressamente escluso la garanzia della sussistenza nell’immobile dei requisiti previsti dalla Legge per la sua agibilità.
— Inagibilità sostanziale “sanabile”. Vi è poi un caso, tra i più frequenti, in cui l’immobile – nella destinazione d’uso dei singoli vani a cui concretamente le parti hanno inteso riferirsi, o per altre ragioni concrete – sia solo in parte privo dei requisiti di agibilità, ma possa conseguirli con interventi edificatori di modico valore oppure, anche in assenza di siffatti interventi, la porzione dell’immobile colpita da mancanza dei requisiti non giustifichi, alla luce degli equilibri economici delle parti nel negozio e di ogni altra circostanza, la risoluzione per inadempimento. In tali casi, sarà esperibile solamente l’azione edilizia aestimatoria prevista dall’art. 1492 c.c., con conseguente domanda quanti minoris rispetto al prezzo originariamente pattuito, salvo (se del caso) il risarcimento del danno.
La riduzione del prezzo è operata diminuendo il corrispettivo originariamente pattuito in una percentuale pari a quella rappresentante la menomazione che il valore effettivo del bene consegnato subisce a causa dei vizi o della diversità di esso rispetto alla cosa negoziata: la parte acquirente deve essere posta nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovata se il bene fosse stato immune da vizi. (cfr. Cass. Civ., sent. n. 28622/2019, Cass. Civ., sent. n. 12852/2008).
Si comprende quindi agevolmente come l’azione aestimatoria sia finalizzata a ripristinare l’equilibrio economico tra le prestazioni contrattuali ed a determinare sia la minore utilità che il minor valore del bene oggetto di compravendita a causa della irregolarità rappresentata, in questo caso, dalla mancanza di agibilità.
— Inagibilità formale. Qualora l’immobile dedotto in contratto risultasse esclusivamente sprovvisto della idonea documentazione attestante la regolare agibilità dello stesso, troverebbe applicazione l’art. 1477 c.c. che pone a carico della parte venditrice l’onere di consegnare a parte acquirente i documenti ed i titoli relativi alla proprietà ed all’uso della cosa venduta.
La mancanza della certificazione di agibilità, non dovuta all’assenza dei requisiti normativamente previsti, non comporta infatti la vendita aliud pro alio bensì può essere considerata un vizio dell’immobile, determinando conseguentemente un risarcimento del danno (emergente) a carico di parte venditrice per mancato rilascio del certificato, salvo che la parte acquirente non abbia espressamente accettato di procedere ugualmente alla stipula dell’atto di compravendita pur in assenza di tale documento. (ex multis, Cass. Civ., sent. n. 23157/2013)
Avv. Valentina Silvestri