Avv. Francesca Tonin
In questo articolo indagheremo la rilevanza della cartella clinica in tema responsabilità sanitaria, sia in ambito penale che in ambito civile.
In particolare in ambito civile la Suprema Corte con ordinanza 7250 del 23 marzo 2018 si è di recente pronunciata in tema di corretta tenuta della cartella clinica da parte del medico, adempimento che risulta fondamentale al fine di evitare la presunzione del nesso causale in sfavore del sanitario in un eventuale giudizio promosso dal paziente nei suoi confronti e teso ad ottenere il risarcimento del danno dallo stesso lamentato.
– Valore giuridico della cartella clinica
La cartella clinica è considerata a tutti gli effetti atto pubblico dotato di fede privilegiata in quanto redatta da un pubblico ufficiale avente la capacità di esternare la volontà della pubblica amministrazione attraverso l’attività certificativa.
La giurisprudenza circa la natura giuridica della cartella clinica si è da tempo espressa in modo uniforme, ritenendo che la cartella clinica, sia su supporto cartaceo che informatico, è atto pubblico “facente piena prova fino a querela di falso del decorso clinico della malattia del paziente e dei vari fatti clinici che lo interessano” (così Cass. S.U. n. 7958 del 11.07.1992). Ne deriva che per le attestazioni contenute nella cartella clinica, redatta da un’azienda ospedaliera pubblica o da ente convenzionato con il servizio sanitario pubblico, è applicabile lo speciale regime di cui agli articoli 2699 e ss c.c. “per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento, restando, invece, non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse (Cass. n. 37314 del 29.05.2013).
– Reati connessi alla redazione della cartella clinica
I reati più significativi che trovano la propria fonte nella redazione della cartella clinica sono reato di falso materiale (art. 476 c.p. “Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”) e falso ideologico (479 c.p. “Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”).
La configurabilità del falso ideologico sussiste nel caso in cui chi è chiamato a redigere la cartella clinica attesta fatti non conformi al vero, attesa la tutela da parte dell’ordinamento giuridico della c.d. genuinità e veridicità della cartella clinica stessa. Diversamente, integra il reato di falso materiale la condotta del pubblico ufficiale consistente nell’alterazione, ovvero modificazione, aggiunta o cancellazione successivamente alla formazione dell’atto medesimo, anche se protesa al ripristino della verità dei fatti in esso contenuti (così Cass. n. 37314 del 29.05.2013 “Integra il reato di falso materiale in atto pubblico l’alterazione di una cartella clinica mediante l’aggiunta di una annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale; né, a tal fine, rileva che il soggetto agisca per ristabilire la verità fattuale”). Il bene giuridico della pubblica fede tutelato nel reato in esame, infatti, viene leso anche quando, indipendentemente dal contenuto dell’atto pubblico, non vi sia corrispondenza tra l’iter della formazione del medesimo atto e quello che appare dal suo aspetto grafico.
Per il compimento di detti reati è necessario che colui che compie l’attività illecita di alterazione o contraffazione della cartella clinica sia un pubblico ufficiale. Nell’ambito del settore medico-sanitario ad assumere la qualifica di pubblico ufficiale possono essere, ad esempio, il dirigente di un’unità operativa, il medico di presidio, ed in generale tutti coloro che per la natura delle funzioni esercitate hanno la capacità di esteriorizzare la volontà della Pubblica Amministrazione, ivi compreso il medico che lavora in clinica privata anche solo parzialmente convenzionata con il SSN (così Cass. n. 19557 del 24.05.2010).
Da ultimo, si segnala che secondo recente giurisprudenza il primario può incorrere nel reato di “rifiuto di atti urgenti” di cui all’art. 328 co. 1 c.p., se non provvede alla esatta formazione della cartella clinica, di cui è tenuto ad accertare completezza (Cass. n. 6075 del 13.01.2015).
– L’omissione in cartella clinica: conseguenze civili e penali
Il medico è tenuto, nell’ambito delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale ex art. 1176 c.c., a controllare la completezza e l’esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati (così inter alia Cass. n. 1538 del 26.01.2010).
L’imperfetta compilazione della cartella clinica, quindi, può avere conseguenze sia sotto il profilo della responsabilità medica in ambito civile che in ambito penale.
Quanto alla responsabilità medica civile, costante giurisprudenza ritiene che l’imperfetta compilazione della cartella clinica, nel caso in cui ne derivi l’impossibilità di trarne utili elementi di valutazione sulla condotta del medico, non può tradursi in un pregiudizio per il paziente. Di conseguenza, laddove l’omessa o incompleta compilazione della cartella non consenta di stabilire quali siano stati il processo diagnostico – terapeutico attuato dal medico ed il decorso della malattia, il giudice legittimamente può ricorrere a presunzioni logiche quali fonti di prova, ovvero “può risalire a quello che presuntivamente fu il comportamento positivo oppure omissivo del medico ed all’andamento della patologia” (Cass. n. 11316 del 21.07.2003). Conseguentemente, la responsabilità del medico potrà essere accertata anche quando la “lacunosità” della cartella clinica non consenta di ricostruire l’andamento dei fatti.
Tale principio è espressione del criterio di vicinanza della prova, il quale nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori del processo civile, assume speciale rilievo nel caso di responsabilità medica, sia ai fini della valutazione della condotta del sanitario, sia in relazione all’individuazione del nesso eziologico tra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente.
In tema di responsabilità penale del medico, l’omissione o comunque la mancata segnalazione di manifestazioni cliniche rilevanti, di trattamenti clinici medici e di atti operatori può concorrere a fondare la responsabilità penale del medico per fattispecie colpose (Cass. n. 12103 del 13.09.2000), come ad esempio in caso di reati quali lesioni colpose od omicidio colposo.
– Conservazione della cartella clinica
Si segnala, per completezza, che il principio di vicinanza della prova di cui si è parlato non opera per la fase di conservazione successiva alla consegna dell’atto all’archivio centrale della struttura clinica in cui il medico ha operato; pertanto l’eventuale smarrimento della cartella da parte della struttura sanitaria non può risolversi in danno del medico determinando un’inversione dell’onere probatorio (Cass. n. 18567 del 13.07.2017).
Invero, mentre la regolare e completa tenuta della cartella clinica grava certamente anche sul medico (oltre che sulla struttura sanitaria), la sua conservazione non può ridondare sullo stesso in termini assoluti.
Avv. Francesca Tonin