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Concorso tra il reato di bancarotta patrimoniale distrattiva e quello di autoriciclaggio: il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità

Gen302023

In ipotesi di fallimento/liquidazione giudiziale dell’impresa, possono configurarsi diverse ipotesi delittuose, attualmente inserite nel titolo IX, Capi I – IV, della parte prima del “Codice della crisi e dell’impresa”, dedicato alle “disposizioni penali” (le quali si pongono in rapporto di sostanziale continuità con le disposizioni precedenti e, in particolare, con il Titolo VI del R.D. n. 267/1942).

Una delle fattispecie delittuose legate al fallimento – oggi definito con il termine insolvenza  –  che si verificano con maggiore frequenza è la bancarotta patrimoniale distrattiva, prevista dall’art. 216, comma 1 n. 1) L.F.[1], che punisce l’imprenditore che, se dichiarato fallito, ha “distratto in tutto o in parte i suoi beni”, così sottraendoli alla garanzia patrimoniale delle obbligazioni contratte, con conseguente depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori (secondo autorevole dottrina e giurisprudenza, per distrazione si intende sia (i) l’estromissione di un bene dal patrimonio dell’imprenditore, sia (ii) la destinazione di detto bene ad uno scopo diverso da quello doveroso).

Si precisa che per configurare questa ipotesi di reato la condotta distrattiva può essere posta in essere sia “prima” della sentenza dichiarativa di fallimento/apertura della liquidazione giudiziale (ipotesi prefallimentare) che “dopo”, e, cioè in pendenza del fallimento/procedimento di liquidazione (c.d. ipotesi post fallimentare).

Nel 2014 il legislatore ha poi introdotto il nuovo delitto di autoriciclaggio, il quale punisce – molto severamente, essendo prevista la pena della reclusione da 2 ad 8 anni e della multa da euro 5.000 ad euro 25.000 – chi, essendosi reso in precedenza responsabile di un delitto non colposo, “impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa” (cfr. art. 648ter.1, comma 1, c.p.) sempre che i proventi stessi non vengano destinati “alla mera utilizzazione o al godimento personale” (cfr. comma 4, c.d. “clausola di non punibilità”).

Tale reato è stato poi inserito nel novero delle fattispecie presupposto ex D.Lgs. 231/2001[2], sicché anche le imprese ne possono astrattamente rispondere in ipotesi di realizzazione del delitto da parte di propri soggetti apicali o sottoposti alla direzione e alla vigilanza di soggetti apicali (ne rimangono esclusi, invece, tutti i reati “fallimentari”, quali la bancarotta fraudolenta distrattiva).

Con riferimento al rapporto tra queste due gravi fattispecie delittuose, è di recente emerso il problema circa la possibilità che la condotta “distrattiva” così come precedentemente descritta possa configurare, oltre al delitto di bancarotta patrimoniale, anche quello di autoriciclaggio.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, al fine di riconoscere un concorso tra le due fattispecie, non basta il mero impiego in attività imprenditoriali dei beni dell’impresa, oggetto della distrazione, ma è necessario verificare, nel caso concreto, la sussistenza di un “quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene” (Cass. pen., Sez. V, 1° marzo 2019, n. 8851, secondo cui “il mero trasferimento di denaro oggetto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale a vantaggio di altre società gestite dal medesimo amministratore della società fallita” non integra il delitto di autoriciclaggio).

Con particolare riferimento alla distrazione dell’azienda,  – ipotesi che si verifica molto di frequente nei casi di imprenditori titolari (di fatto o di diritto) di diverse imprese, alcune delle quali eventualmente più in sofferenza delle altre – la giurisprudenza di legittimità ha specificato in diverse pronunce che la sua successiva gestione (e, precisamente, “l’esercizio di una attività imprenditoriale attraverso l’azienda oggetto della distrazione”), configura non solo il reato fallimentare, ma anche quello di autoriciclaggio, sub specie di impiego in attività economiche ovvero finanziarie dell’utilità di provenienza illecita. Tale attività, ulteriore, successiva e distinta da quella di mera distrazione realizzerebbe, infatti, compiutamente il quid pluris sanzionato dalla norma.

Si richiama, sul punto, una recente pronuncia della giurisprudenza di legittimità, la quale, in un caso di sottrazione e trasferimento dei beni della fallita, in concorso con un soggetto terzo, dissimulati attraverso la “polverizzazione del patrimonio”, impiegato nella progressiva creazione di nuove società, senza dar modo alla curatela di ricostruire le cause del dissesto, ha riconosciuto il concorso tra i due delitti in esame. “La prosecuzione dell’attività a mezzo di altre società “cloni” ed a mezzo di prestanomi” aveva determinato, infatti, “un pregiudizio per gli interessi del fisco e dei creditori, nonché il reimpiego del provento dei reati – artt. 216, comma 1 n. 1 L.F. e art. 11 D.lgs. D.lgs. 74/2000 – pienamente integranti il delitto di autoriciclaggio, in assenza della causa di esclusione della punibilità ex art. 648 ter.1 c.p.”).

In ipotesi di fallimento/liquidazione giudiziale di un’impresa, pertanto, qualora venga distratta/sottratta – sia in un momento antecedente, che successivo al fallimento stesso – alla massa dei creditori una parte dei beni dell’impresa, potrà configurarsi non solo la grave ipotesi delittuosa della bancarotta fraudolenta patrimoniale ma, alle condizioni di cui sopra dettate dalla giurisprudenza di legittimità, anche l’altrettanto grave ipotesi delittuosa dell’autoriciclaggio, di cui potrà a sua volta rispondere, ex art. 25 octies D.lgs. 231/2001, anche l’impresa stessa.

Tale concorso non sarebbe ostacolato, secondo la Suprema Corte, dal fatto che, nelle ipotesi di distrazione prefallimentare, il momento consumativo del reato debba identificarsi con il momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non con le singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria (ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 11 maggio 2017, n. 45288). Come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità per i delitti di ricettazione e riciclaggio, infatti, anche il delitto di autoriciclaggio deve ritenersi configurabile “nell’ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutti i casi in cui tali distrazioni erano “ab origine” qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell’art. 646 c.p.” (Cass. Pen, Sez. II, 19 aprile 2016, n. 33725), in considerazione del rapporto in cui si trovano il delitto di appropriazione indebita (aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11, in considerazione delle qualità dei soggetti agenti) e il delitto di bancarotta patrimoniale, in ragione del quale il secondo assorbe il primo.

 

Chiara Perissinotto

[1] o dall’art. 322, comma 1, lett. A), D.lgs. 14/2019, per i fatti di reato commessi con riferimento a procedure per le quali i ricorsi, le proposte o le domande sono presentate dopo l’entrata in vigore del codice della crisi ed insolvenza, cfr. art. 390 CCII per la disciplina transitoria.

[2] art. 25 octies D.lgs. 231/2001;

Categoria: Diritto Penale30 Gennaio 2023
Tags: autoriciclaggiobancarottadirittopatrimoniale

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