Dott.ssa Marta Collalto
Il contratto di somministrazione è disciplinato dagli artt. 1559 e ss., e viene descritto come il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.
Nel contratto di somministrazione il recesso è disciplinato dall’art. 1569 c.c., secondo cui “Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi, o, in mancanza, in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione”; dal disposto si evince, pertanto, che tale facoltà è prevista esclusivamente per i contratti ad esecuzione continuata in cui non sia predeterminato un termine finale.
Da ciò deriva che se il contratto è a tempo determinato le parti non possono recedere, a meno che non abbiano previsto tale facoltà convenzionalmente. Controversa è la questione, su cui dottrina e giurisprudenza sono equamente divise, in ordine alla possibilità delle parti di recedere – pur non avendolo pattuito espressamente – in presenza di giusta causa.
Nello specifico, una possibilità di scioglimento del contratto può ravvisarsi qualora uno dei due contraenti ponga in essere un inadempimento grave, relativo ad un aspetto della prestazione ritenuto “essenziale”.
In tal caso, la parte lesa potrà richiedere la risoluzione del contratto, che nella disciplina specifica del contratto di somministrazione è prevista dall’art. 1564 c.c., secondo il quale, “in caso di inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l’altra può chiedere la risoluzione del contratto, se l’inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei rispettivi inadempimenti”.
La risoluzione si richiede al giudice, il quale la dispone con sentenza, previa valutazione della gravità dell’inadempimento, verificando che lo stesso abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto.
Infatti, solo nel caso in cui l’inadempimento comporti “uno squilibrio sensibile” tra le due prestazioni si potrà parlare di gravità e, quindi, ottenere la risoluzione del contratto.
In tale ipotesi, considerato che la somministrazione è un contratto ad esecuzione continuata, per cui le singole prestazioni sono autonome e indipendenti l’una dall’altra, l’inadempimento di una prestazione non influisce su quelle già effettuate e, quindi, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite (vds. Art. 1458 c.c.).
Dott.ssa Marta Collalto