AFPC – Gonzo
Procedure di anticipazione e manleve delle società interinali
In questo momento storico, nel pieno dell’emergenza sanitaria Covid-19, a fronte dell’avvenuta sospensione dell’attività lavorativa di svariate società utilizzatrici, capita sempre più frequentemente che alle predette società, colpite da provvedimenti governativi interdittivi, venga richiesto dalle agenzie di somministrazione – previa attivazione da parte delle agenzie interinali stesse dei propri ammortizzatori sociali – di sottoscrivere particolari tipologie di accordo. Nello specifico, detti accordi solitamente prevedono che l’utilizzatore sia tenuto (i) a manlevare le imprese somministranti da qualsiasi conseguenza derivante, in particolar modo, dall’eventuale rigetto da parte degli enti competenti della pratica di accesso a fondi di solidarietà di settore, che determinasse l’obbligo di retribuire integralmente i lavoratori interessati dalla procedura nonché (ii) a riconoscere alle agenzie, per la gestione amministrativa della procedura di anticipazione delle prestazioni, importi fissi per ciascuna ora elaborata e riconosciuta ai lavoratori interessati con causali di assenza per riduzione/sospensione dell’orario di lavoro con ricorso all’anticipazione delle prestazioni.
Si ritiene che tali pretese siano da respingere in quanto illegittime.
Si premette che la sospensione dell’attività lavorativa di molteplici società è stata infatti disposta dalle stesse proprio per l’effetto ed in conformità del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020 (Allegato 1, così come sostituito dal Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico e dal relativo Allegato 1), il quale contiene le misure restrittive imposte dal Governo ed individua le attività produttive e del commercio al dettaglio non sospese.
Sono legittimate ad operare, dunque, solo le aziende i cui codici ATECO siano contenuti nel sopra citato allegato. Per le altre società utilizzatrici, pertanto, la sospensione dell’attività lavorativa non è in alcun modo imputabile ad un fatto volontario o dipendente dalla società stessa o, tantomeno, conseguente ad una propria volontà unilaterale.
Nel caso specifico, infatti, la prestazione lavorativa, compresa quella dei lavoratori somministrati, è divenuta impossibile per disposizione sopravvenuta delle pubbliche autorità (c.d. “factum principis”), con conseguente applicazione delle norme civilistiche che disciplinano i casi di impossibilità sopravvenuta alla prestazione nei contratti a prestazioni corrispettive. In particolare, in forza del combinato disposto degli artt. 1256 e 1463 c.c., l’impossibilità alla prestazione lavorativa per cause di forza maggiore libera le parti dalle reciproche obbligazioni e, pertanto, il lavoratore è liberato dall’obbligazione di prestare il lavoro ed il datore di lavoro non dovrà pagare la retribuzione.
Tale conclusione trova conferma in numerose pronunce concernenti casi di impossibilità alla prestazione lavorativa per cause di forza maggiore (ex multis, Cass. n. 15372 del 2004: “In base agli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è giustificata, ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva, soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato”).
Lo stesso Ministero del Lavoro, nell’interpello n. 15/2012, ha ricordato che l’impossibilità alla prestazione lavorativa per cause di forza maggiore libera le parti dalle reciproche obbligazioni. In particolare, il Ministero del Lavoro conclude osservando come: “Alla luce delle osservazioni sopra svolte ed in linea con i principi codicistici che presiedono le obbligazioni contrattuali, si ritiene che in tali fattispecie l’impossibilità sopravvenuta liberi entrambi i contraenti: il lavoratore dall’obbligo di effettuare la prestazione e il datore dall’obbligo di erogare la corrispondente retribuzione. Restano ferme, tuttavia, le disposizioni dei contratti collettivi di lavoro che, generalmente, contemplano la possibilità per il lavoratore di fruire di titoli di assenza retribuiti connessi al verificarsi di eventi eccezionali”.
Per quanto sopra, si ritiene che non debbano trovare applicazione nemmeno eventuali clausole contrattuali contenute in Condizioni Generali di Somministrazione già precedentemente sottoscritte tra le parti, con le quali si prevede appunto che l’impresa utilizzatrice riconosca a quella somministrante un importo fisso per ciascuna ora di sospensione dell’attività lavorativa a titolo di spese amministrative di attivazione e gestione di fondi di solidarietà di settore per i lavoratori somministrati. Tale clausola, infatti, si ritiene operi solo a condizione che la sospensione dell’attività sia riconducibile ad una scelta dell’impresa utilizzatrice e non, invece, qualora venga a dipendere, come nel caso in esame, dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione.
Sotto altro diverso, ma connesso profilo, si osserva altresì che l’ordine governativo di sospendere l’attività imprenditoriale per servizi non essenziali vieta al somministrante di esporre i propri dipendenti al rischio generico connesso od occasionato dalla somministrazione della prestazione lavorativa a beneficio di un utilizzatore “interdetto”; pertanto, al di là di una suggestiva (quanto recessiva) ipotesi di impossibilità per l’utilizzatore di ricevere la prestazione lavorativa, ci troviamo, viceversa, nella impossibilità del somministrante di eseguire la propria prestazione. Pertanto, se di mancato (non imputabile) adempimento possiamo parlare, esso è oggettivamente riferibile alla prestazione a cui il somministrante è tenuto per contratto.
A conferma di quanto sopra, si rileva come lo stesso decreto ministeriale chiarisca che le “Attività delle agenzie di lavoro temporaneo (interinale)” (codice ATECO 78.2) sono consentite nei limiti in cui siano espletate in relazione alle attività di cui agli allegati 1 e 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 marzo 2020 e di cui all’allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 marzo 2020, come modificato dal presente decreto ministeriale”.
Sotto altro diverso e connesso profilo applicativo, ad analoga conclusione si perviene con riferimento alle disinvolte richieste di manleva contenute nelle varie proposte di accordo che vengono via via sottoposte alle imprese utilizzatrici, giacché tale manleva non è imposta da alcuna disposizione normativa vigente e, solitamente, neppure viene preventivamente pattuita nel contratto di somministrazione.
Ovviamente a diverse conclusioni deve giungersi nell’ipotesi in cui la mancata prestazione lavorativa derivi da una scelta delle parti, ad esempio, nel caso della società che, per una scelta imprenditoriale di cautela, si determini a sospendere temporaneamente l’attività, oppure, dall’altro lato, nell’ipotesi in cui sia il lavoratore stesso che decida di non recarsi più al lavoro. E’ evidente che, in questi casi, la parte inadempiente al contratto rimane obbligata, con tutte le conseguenze del caso.
Dott.ssa Laura Gonzo
[1] Trattasi di un particolare strumento di ammortizzazione sociale, la c.d. TIS in Deroga, che prevede solitamente una retribuzione pari all’80% a carico del Fondo di Solidarietà di settore, previa sottoscrizione di un Accordo sindacale con le proprie oo.ss. Tale strumento, inoltre, può essere richiesto anche a prescindere dal requisito dei 90 giorni di anzianità di settore.