Avv. Eleonora Facchinello
Per l’esercizio dell’attività di impresa ed il perseguimento dell’oggetto sociale, le società – e, segnatamente, le società di capitali – necessitano di fare ricorso, più o meno ampio, a varie forme di finanziamento.
Non è raro – e pare altrettanto naturale – che l’apporto di tale finanza avvenga tramite ricorso al mercato del capitale di rischio o tramite l’erogazione di finanziamenti da parte dei soci.
Tuttavia, il tema dei finanziamenti soci merita un approfondimento finalizzato al suo coordinamento (e conciliazione) con il divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico ex art. 11 D.Lgs. 385/1993 (TUB).
L’art. 11 TUB (Raccolta del risparmio) sancisce che “è raccolta del risparmio l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma” (comma 1) e che “la raccolta del risparmio tra il pubblico è vietata ai soggetti diversi dalle banche” (comma 2). E l’art. 130 TUB (Abusiva attività di raccolta del risparmio) sanziona penalmente “l’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico in violazione dell’articolo 11”.
L’ampia nozione legislativa di “raccolta del risparmio” vietata ai soggetti diversi dalle banche ora citata impone di chiedersi se e in quali casi i finanziamenti soci siano leciti.
A tal fine, in base al comma 3 del citato art. 11: “Il CICR stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all’attività ed alla forma giuridica del soggetto che acquisisce fondi, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie individuate in ragione di rapporti societari o di lavoro”. Tale disposizione legislativa (fonte primaria) demanda, dunque, ad una normativa di rango secondario la determinazione delle condizioni in presenza delle quali l’acquisizione di denaro, “in ragione di rapporti societari” non integra la fattispecie illecita di raccolta del risparmio tra il pubblico.
Al secondo livello normativo, dunque, la delibera CICR del 19 luglio 2005, al comma 2 dell’art. 2 (Raccolta del risparmio tra il pubblico), contenuto nella sez. I dedicata alle “Disposizioni di carattere generale”, stabilisce che “non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata: (…) “presso soci, dipendenti o società del gruppo secondo le disposizioni della presente delibera” (punto 2); “sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento” (punto 3). Il successivo art. 6 (Raccolta presso soci), contenuto nella sez. III “Raccolta presso soci, dipendenti e nell’ambito di gruppi”, dispone che: “Le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché tale facoltà sia prevista nello statuto (…)” (comma 1) e che “Le società diverse dalle cooperative possono effettuare la raccolta di cui al comma 1 esclusivamente presso i soci che detengano almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. Per le società di persone tali condizioni non sono richieste” (comma 2).
Gerarchicamente subordinate alle succitate disposizioni del TUB e del CICR, le Istruzioni della Banca d’Italia dell’8 novembre 2016 statuiscono alla Sezione III, art. 2, alcune fattispecie che non costituiscono raccolta di risparmio tra il pubblico vietata, ossia in particolare:
(…) presso soci, dipendenti o società del gruppo secondo quanto previsto dalle presenti Disposizioni (Sez. V, VI e VII)” (punto c.);
“effettuata sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, per i quali tale operazione si inserisce, di norma, in una gamma più ampia di rapporti di natura economica con il soggetto finanziato. Nel contratto deve comunque risultare con chiarezza la natura di “finanziamento” del rapporto stesso. In ogni caso, il reperimento di risorse in tal modo effettuato non deve presentare connotazioni tali (ad esempio, numerosità e frequenza delle operazioni) da configurare, di fatto, una forma di raccolta tra il pubblico” (punto d.).
In attuazione del succitato punto c. ed in linea con l’art. 6 della delibera CICR, il successivo art. 2, sez. V, delle Istruzioni della Banca d’Italia specifica che “Le società diverse dalle cooperative possono effettuare raccolta di risparmio, senza alcun limite, esclusivamente presso i soci che detengano una partecipazione di almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi” (comma 1) e che “nelle società di persone (…) tali condizioni non sono richieste” (comma 2).
Dal combinato disposto delle fonti citate, è dunque pacifico che – mentre sono sempre ammessi i finanziamenti dei soci alle società di persone, in ragione della natura personalistica del rapporto intercorrente tra socio e società di persone – i finanziamenti dei soci a società di capitali non integrano la fattispecie (vietata) di raccolta del risparmio tra il pubblico ex art. 11 TUB e sono ammessi quando: (i) vi sia una previsione statutaria che li consenta; (ii) i soci detengano almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato; (iii) i soci siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi.
Fermo quanto sopra, occorre chiedersi quale sia il trattamento dei finanziamenti soci qualora manchino uno o più dei tre requisiti sopra citati.
Ipotizziamo il caso di una “NewCo S.r.l.” costituita da un mese, il cui oggetto sociale da statuto contempli la possibilità di “ricevere finanziamenti dai soci”, i quali detengono, rispettivamente, il 10% ed il 90% del capitale sociale. La società, proprio in quanto neocostituita, necessita di finanza per dare impulso alla propria attività commerciale, ma, al tempo stesso, non ha maturato il requisito dell’iscrizione dei soci nel libro soci da almeno tre mesi. Il ricorso ai finanziamenti dei soci sembrerebbe, in questo caso, precluso almeno fino all’approvazione del primo bilancio d’esercizio (e così anche fino ai 15 mesi successivi alla data di costituzione, cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima 116 del 8 giugno 2010).
Tale conclusione è distonica rispetto alle finalità di protezione introdotte dall’art. 11 TUB e non può essere condivisa alla luce di una lettura sistematica delle fonti normative sopra citate.
Invero, l’art. 2, sez. V, delle Istruzioni della Banca d’Italia, laddove, conformemente all’art. 6, comma 2, della delibera CICR, statuisce che “le società diverse dalle cooperative possono effettuare raccolta di risparmio, senza alcun limite, esclusivamente presso i soci che detengano una partecipazione di almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro dei soci da almeno tre mesi”, configurerebbe una presunzione assoluta di lecita raccolta “non tra il pubblico”[1], che non pare, tuttavia, esaurire tutte le ipotesi di legittimo ricorso ai finanziamenti soci.
Soccorre in ausilio interpretativo l’inciso “senza alcun limite”[2] nella prospettiva di ritenere che – in assenza degli stringenti requisiti precitati – sia ammesso il finanziamento da parte del socio laddove effettuato “sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, per i quali tale operazione si inserisce, di norma, in una gamma più ampia di rapporti di natura economica con il soggetto finanziato” qualora nel contratto risulti comunque “con chiarezza la natura di ‘finanziamento’ del rapporto stesso” e il reperimento di risorse in tal modo effettuato non presenti “connotazioni tali (ad esempio, numerosità e frequenza delle operazioni) da configurare, di fatto, una forma di raccolta tra il pubblico” (punto d., art. 2, sez. III, Istruzioni della Banca d’Italia, in conformità a quanto disposto dall’art. 2, punto 3, della delibera CICR).
In altre parole, la raccolta del risparmio effettuata ai sensi dello statuto sociale presso soci che detengano almeno il 2 per cento del capitale sociale e siano iscritti nel libro soci da almeno 3 mesi[3] (da un lato) e la raccolta del risparmio sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura del finanziamento e non caratterizzate dal requisito della ripetitività, della periodicità e della standardizzazione[4], integrano due fattispecie ontologicamente autonome e dotate di elementi costitutivi propri, tali per cui la seconda fattispecie appare parimenti lecita a prescindere dalla qualifica soggettiva del finanziatore e, pertanto, indipendentemente dai requisiti (richiesti invece per l’integrazione della prima fattispecie) soggettivo-quantitativo (quota di partecipazione al capitale sociale) e soggettivo-temporale (tempo minimo di iscrizione nel libro soci).
Ad ulteriore supporto della suestesa interpretazione, si evidenzia che una disposizione avente carattere speciale (in quanto riferita alla species “raccolta del risparmio presso soci”) attuativa rispetto al genus “raccolta del risparmio” (quale si presenta l’art. 6 della delibera CICR, rispetto al punto 2, comma 2, art. 2 della medesima delibera) non potrebbe fare altro che “riempire” il perimetro della fattispecie generale che la richiama per la disciplina di dettaglio, senza tuttavia poter incidere (abrogare o delimitare) altra e diversa fattispecie generale (quale sembra essere il punto 3, comma 2, art. 2 delibera CICR)[5].
Quanto sopra, a maggior ragione se si considera che il punto 3 dell’art. 2, comma 2, delibera CICR, non contiene alcuna clausola di prevalenza del precedente punto 2[6] o di residualità rispetto a quest’ultimo.
Inoltre, vale la pena ricordare che l’abusiva raccolta del risparmio (sanzionata dall’art. 130 del TUB) è fattispecie penale, in quanto tale coperta da riserva di legge (“nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”, art. 25, comma 2, Costituzione; “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”, art. 2 c.p.). Pertanto, le disposizioni normative attuative di una norma penale incriminatrice c.d. “in bianco” non possono estendersi analogicamente a fattispecie per le quali non sono state espressamente previste, pena la violazione dell’art. 14 delle Preleggi e del criterio della “sufficiente determinazione legislativa dei presupposti, caratteri, contenuti e limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa alla trasgressione dei quali deve seguire la pena” (Corte Costituzionale 26/1966).
Imprescindibile resterebbe comunque il requisito oggettivo della previsione statutaria del potere di ricorrere al finanziamento presso i soci. Infatti, su un diverso piano (quello civilistico) tale espressa previsione contenuta nell’oggetto sociale della società di capitali (ma lo stesso potrebbe dirsi per le società di persone) deve ritenersi appropriata per consentire all’organo amministrativo di andare esente da eventuali censure del suo operato inerenti la raccolta di finanziamenti presso soci, in quanto (altrimenti) attività esorbitante rispetto allo scopo-mezzo contemplato nell’oggetto sociale.
Per concludere, la raccolta del risparmio presso i soci da parte delle società di capitali, a prescindere dal requisito soggettivo-quantitativo (quota di partecipazione al capitale sociale) e soggettivo-temporale (durata dell’iscrizione nel libro soci), appare lecita ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 11, comma 3 TUB, art. 2, comma 2, punto 3 delibera CICR 2005 e art. 2, punto d., sez. III Istruzioni della Banca d’Italia 08/11/2016, purché effettuata sulla base di trattative personalizzate, mediante contratti dai quali risulti la natura del finanziamento e non caratterizzate dal requisito della ripetitività, della periodicità e della standardizzazione.
[1] Sul punto, si cita l’autorevole parere del notaio Angelo Busani, secondo il quale “anche qualora manchino uno o più dei tre requisiti, difficilmente un finanziamento soci può essere qualificabile in termini di illecita raccolta di risparmio tra il pubblico quando, ad esempio, si tratti di una società a compagine sociale talmente ristretta da non poter essere qualificabile come ‘pubblico’. Oppure, soprattutto, quando la società ottenga il finanziamento sulla base di trattative personalizzate con singoli soci e si tratti di iniziative occasionali, non caratterizzate dal requisito della ripetitività, della periodicità e della standardizzazione (e cioè come è inevitabile qualificare i finanziamenti nelle prime settimane di vita della neonata società)” e che “non si qualifica raccolta tra il pubblico quella effettuata ‘sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento’ ” (Il Sole 24 Ore, 30 agosto 2005).
[2] Neppure può riferirsi tale inciso al successivo art. 3 della medesima sezione, giacchè, per l’appunto, collocato in precedenza rispetto ad esso.
[3] ammessa dall’art. 6, comma 2, delibera CICR e art. 2, sez. V, Istruzioni Banca d’Italia, in attuazione dell’art. 2, comma 2, punto 2 delibera CICR e dell’art. 2, punto c., sez. III, Istruzioni Banca d’Italia
[4] ammessa dall’art. 2, comma 2, punto 3, delibera CICR e art. 2, sez. III Istruzioni Banca d’Italia
[5] Lo stesso discorso potrebbe essere riportato, ad un livello subordinato, con riferimento alle Istruzioni della Banca d’Italia, laddove l’art. 2, sez. V, si presenterebbe quale attuazione della fattispecie generale di cui al punto c., art. 2, sez. III, e non interferirebbe affatto con la diversa fattispecie generale di cui al successivo punto d.
[6] Così come il punto d. dell’art. 2, sez. III, Istruzioni Banca d’Italia non fa salvo quanto previsto dal precedente punto c.
Avv. Eleonora Facchinello