La prassi o uso aziendale consiste nella reiterazione costante e spontanea di un comportamento che il datore di lavoro tiene nei confronti di tutti i dipendenti, il quale si traduce in un trattamento economico o normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti individuali o collettivi (Cass. 1273/2012).
In estrema sintesi, affinché sussista un uso aziendale, il comportamento datoriale deve essere:
- favorevole e vantaggioso per i lavoratori, ad esempio deve trattasi della concessione di gratifiche, premi, indennità o attribuzioni a carattere previdenziale non obbligatorio oppure della concessione di un determinato regime orario giornaliero, della riduzione dell’orario di lavoro o di particolari modalità di esercizio del diritto al riposo settimanale;
- spontaneo, ossia non deve esserci nella contrattazione collettiva e/o individuale un obbligo impositivo di quel determinato comportamento (Cass. S.U. 26107/2007);
- reiterato nel tempo al punto da giustificare l’affidamento in capo ai lavoratori sulla continuità della concessione datoriale (Cass. 30260/2018);
- deve avere carattere generale in quanto applicato nei confronti di tutti i dipendenti dell’azienda (Cass. 30260/2018 e Cass. 18263/2009) o, in casi eccezionali, di tutti i dipendenti adibiti ad uno o più settori aziendali determinati (Cass. 202/1982).
Sebbene la giurisprudenza sia unanime nel dettare la definizione di uso aziendale e nell’individuare i requisiti in presenza dei quali esso può ritenersi sussistente, non vi è uniformità di pensiero in merito alla natura giuridica da attribuire all’uso aziendale e alle modalità attraverso le quali è possibile revocarlo o modificarlo.
La problematica della modifica o dell’eliminazione dell’uso aziendale è infatti direttamente collegata alla sua natura giuridica. In altre parole, a seconda della qualificazione giuridica che si attribuisce all’uso, è possibile individuare differenti modalità di modifica o eliminazione dello stesso.
Sul tema si segnalano quattro orientamenti giurisprudenziali, di cui solo i primi due maggioritari.
1) Secondo una parte della giurisprudenza l’uso aziendale fa sorgere in capo al datore di lavoro un obbligo unilaterale avente carattere collettivo e agisce sui rapporti individuali di lavoro con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale (Cass. 6295/2017). Pertanto, l’uso aziendale non incide direttamente sul contratto individuale di lavoro modificandone il contenuto, ma opera come fonte esterna dello stesso (Cass. 6453/2010).
Tale orientamento è stato condiviso anche di recente dalla Corte di Cassazione secondo la quale “la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale” (Cass. 15632/2020).
In base a tale ricostruzione, l’uso aziendale viene equiparato al contratto collettivo aziendale anche sotto il profilo dell’eliminazione del trattamento di maggior favore introdotto con l’uso, il quale può essere derogato da fonti collettive (nazionali o aziendali) sopravvenute sia in senso migliorativo che peggiorativo (Cass. 3296/2016 e Cass. 13816/2008).
2) Secondo un’altra ricostruzione, l’uso aziendale deve essere considerato alla stregua di un “uso negoziale” e, in quanto clausola d’uso, sarebbe suscettibile ex art. 1340 c.c. di inserzione automatica nel contratto individuale di lavoro, derogando in senso migliorativo la disciplina collettiva.
In tale ipotesi però non sarebbe possibile derogate in peius mediante la contrattazione collettiva successiva l’uso aziendale così formatosi, atteso che tale uso si inserisce nei singoli contratti individuali e non già nei contratti collettivi nazionali o aziendali. Ne consegue che, in tali ipotesi, l’esclusione dell’uso potrebbe avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti (Cass. 2641/2012 e Cass. n. 18780/2014).
3) Altre pronunce giurisprudenziali, invece, pur non prendendo posizione sulla natura dell’uso aziendale, hanno affermato che in alcune ipotesi la derogabilità dell’uso può avvenire persino in forza di una manifestazione di volontà unilaterale del datore di lavoro. Il datore di lavoro può eliminare unilateralmente i benefici derivanti dalla prassi aziendale con riferimento: (a) ai lavoratori da assumere, facendo però salvi i diritti dei lavoratori che già beneficiano della prassi aziendale o (b) ai lavoratori che siano da tempo assoggettati alla prassi nell’ipotesi in cui sia intervenuta una modificazione dell’organizzazione del lavoro che abbia fatto venir meno il presupposto sul quale si fondava il diritto riconosciuto in forza della prassi (Cass. 18263/2008; Cass. 18593/2009; Cass. 18780/2014).
4) Da ultimo, si segnala una giurisprudenza più risalente ed estremamente minoritaria secondo la quale, benché l’uso aziendale non possa essere sostituito da una diversa regolamentazione collettiva che comporti una modificazione in peius, l’uso sarebbe comunque sostituibile attraverso un uso aziendale successivo (anche se peggiorativo), fatta però sempre salva una diversa manifestazione di volontà delle parti (Cass. 2406/1994).
In conformità alla giurisprudenza di cui sopra, si può concludere che nulla osta alla revoca o alla modifica in peius dell’uso aziendale, purché siano fatti salvi i diritti quesiti e la modifica / la revoca avvenga con specifiche modalità.
In generale e salvi casi eccezionali (come l’ipotesi in cui vi sia stata una modifica nell’organizzazione aziendale o si tratti di una nuova assunzione), gli usi aziendali non possono essere modificati in peius o revocati in forza della semplice manifestazione unilaterale di volontà del datore di lavoro, ma è richiesto il consenso dei lavoratori. Tuttavia, accogliendo l’orientamento secondo cui l’uso aziendale è equiparabile ad una fonte collettiva, si può concludere che la modifica e la revoca dell’uso aziendale può essere attuata anche attraverso lo strumento della contrattazione collettiva di qualsiasi livello essa sia, aziendale o nazionale.
Avv. Feliciana Salvatelli
Fonti: Giurisprudenza Corte di Cassazione citata in narrativa; R. De Luca Tamajo e O. Mazzotta, “Commentario Breve alle leggi sul lavoro”, ed. Cedam, 2018, Memento Pratico Lavoro 2019 ed. Giuffrè, F. Del Giudice e F. Izzo, “Manuale diritto del Lavoro”, ed. Simone, 2020; https://www.rassegnadirittolavoro.it/usi-aziendali-e-usi-negoziali/.