Avv. Lisa Benatello
Il pignoramento di crediti di denaro è senza dubbio uno dei migliori strumenti di soddisfazione del creditore. Attraverso tale forma di esecuzione forzata, infatti, il debitore vede prima bloccato e poi prelevato il denaro che egli deve ricevere da soggetti terzi, suoi debitori.
Per l’assegno di mantenimento vale una regola particolare: può essere pignorato, ma entro alcuni limiti.
Il principio generale è che non possono essere pignorate tutte le somme necessarie alla soddisfazione di esigenze primarie della persona: ad esempio gli alimenti, le prestazioni di assistenza, le retribuzioni lavorative per intero. Al riguardo, il codice di procedura civile indica analiticamente tutti i crediti che non possono essere pignorati, quali:
- i crediti alimentari: possono essere pignorati solo qualora il creditore proceda per cause di alimenti e sempre in presenza di un’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, e nei limiti da questi determinati.
- i sussidi dovuti per maternità, malattie,funerali e i sussidi di povertà.
Lo stipendio o le altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, compreso il TFR, possono essere pignorati nella misura di un quinto del totale.
Per ciò che concerne l’assegno di mantenimento vale una regola specifica: posto che il suo scopo è quello di assicurare, al coniuge con un reddito e un patrimonio più ridotto rispetto all’altro, la possibilità di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio, può essere pignorato soltanto relativamente a quella parte non necessaria a soddisfare le esigenze primarie di vita del beneficiario.
Ad esempio: se il marito è un ricco manager che guadagna diverse migliaia di euro al mese, il mantenimento elevato che versa alla ex moglie potrebbe essere pignorato nella parte superflua, non indispensabile per la sopravvivenza del beneficiario.
Non si devono confondere, pertanto, i crediti alimentari con il mantenimento in fase di separazione. Mentre i primi servono a sostenere chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere da solo al proprio sostentamento, il mantenimento ha la funzione di consentire al coniuge debole di conservare lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio (occorre tuttavia specificare che i recenti nuovi orientamenti della Corte di Cassazione renderanno sempre meno applicabile il suddetto principio del cd. “tenore di vita”).
Non a caso, mentre l’entità del mantenimento è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato, la quantificazione degli alimenti non deve superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale.
Ne deriva che l’assegno di mantenimento non può essere pignorato per la quota relativa alla parte alimentare, il cui accertamento compete al
giudice del merito. In altre parole, per stabilire se un credito da mantenimento possa essere pignorato o meno, occorre stabilire se esso abbia in tutto, o anche solo in parte, natura alimentare. E, infatti, il credito di mantenimento che non sia destinato a soddisfare in alcun modo le esigenze di vita del beneficiario deve ritenersi equiparabile ad un credito comune e, pertanto, pienamente pignorabile.
La legge non fornisce chiare indicazioni nel merito e, come detto, deve essere il giudice, in base al caso concreto, a decidere al riguardo.
Solo con riferimento al pignoramento della pensione, la legge stabilisce un minimo impignorabile, perché considerato minimo vitale, che viene calcolato sommando l’importo dell’ assegno sociale con la metà dello stesso, per una cifra di attualmente pari a 672,10 euro/mese.
Tuttavia, nell’ambito di un assegno di mantenimento, gli alimenti possono superare il predetto importo.
Avv. Lisa Benatello