Avv. Francesco Fontana
Le istanze istruttorie sono inammissibili, laddove vertono su fatti che non sono stati dedotti in giudizio entro il termine delle preclusioni assertive di cui all’art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c., ma solo surrettiziamente allegati tramite i capitoli probatori formulati con memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.
In tale prospettiva, la seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. non può essere di norma (vedi infra) utilizzata come ulteriore appendice assertiva, con conseguente decadenza dal diritto alla prova per il deducente tardivo.
Trattasi di nullità assoluta ed insanabile, giacché stabilita nell’interesse dell’ordinato svolgimento del processo ed a garanzia del contraddittorio, tenuto conto che “il processo debba essere governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto va assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attività” (Corte Cost., Ord. 29/04/2010, n. 163).
Il vigente modello processuale civile è configurato come un processo articolato per fasi, ciascuna delle quali deputata allo svolgimento di determinate attività processuali, che risultano precluse dalla scadenza del termine che segna il passaggio alla fase successiva, con un implicito divieto di “regressione” del processo alle fasi precedenti e già concluse, in quanto ciò contrasta con l’esigenza primaria che il processo consegua un risultato utile in tempi ragionevoli in ossequio all’art. 111 della Costituzione Italiana.
De iure còndito, le attività assertive delle parti trovano naturale e fisiologica collocazione nella memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. “primo termine”, potendo essere presenti nella seconda memoria solamente se configurino una replica alle deduzioni avversarie, restando altrimenti la predetta memoria riservata alle richieste di prova (cfr. Trib. Milano, Sez. IX, Ord. 23/05/2013, fonte: sito web Il Caso.it). La seconda fase, di individuazione del thema probandum, si colloca subito dopo la fissazione del thema decidendum, dal quale è profondamente condizionata. L’attività di deduzione dei mezzi di prova può infatti essere compiutamente svolta solo una volta esaurita l’attività assertiva delle parti. Il nesso logico e processuale tra attività assertiva e attività probatoria delle parti conduce ad affermare il principio per cui non è possibile provare fatti che non siano stati ritualmente e tempestivamente allegati dalle parti.
La giurisprudenza di legittimità pone in luce la “necessaria circolarità” fra onere di allegazione, onere di contestazione e onere della prova nel rito del lavoro, facendone derivare il suddetto principio (Cass. Civ., Sez. Un., Sent. 17/06/2004, n. 11353; Cass. Civ., Sez. Lav., Sent. 09/02/2012, n. 1878; Cass. Civ., Sez. Lav., Sent. 24/10/2017, n. 25148), oggi recepito nel processo civile ordinario, donde l’impossibilità di richiedere prova su fatti che siano stati allegati oltre il termine delle preclusioni assertive, nonché su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati in modo espresso e specifico entro detto termine.
In questo senso, già il Tribunale di Piacenza osservava che “nel rito ordinario, è inammissibile, pur se formulata prima del termine delle preclusioni istruttorie, la richiesta probatoria relativa a circostanze per la prima volta dedotte dopo lo spirare delle preclusioni assertive” (Trib. Piacenza, Sent. 06/03/2012). In senso conforme si esprimeva anche il Tribunale di Reggio Emilia, secondo cui nell’ambito di un processo a preclusioni rigide, non può essere revocato in dubbio il principio a tenore del quale il diritto alla prova può essere esercitato solo relativamente a fatti tempestivamente allegati e, quindi, relativamente a fatti dedotti prima dello spirare delle preclusioni assertive, pacificamente individuate nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. Né può in alcun modo opinarsi che, nel processo ordinario di cognizione, vi possa essere una sostanziale sovrapposizione e coincidenza tra il momento delle preclusioni assertive e quelle probatorie, così come accade nel rito del lavoro, ove dette preclusioni si consumano, entrambe, per l’attore al momento del deposito del ricorso, per il convenuto al momento della memoria costitutiva tempestivamente depositata (cfr. artt. 414 e 416 c.p.c.).
Nel rito ordinario le preclusioni assertive maturano prima di quelle istruttorie, “con la conseguenza che è ben possibile che una parte, pur avendo richiesto di provare una circostanza prima dello scadere delle preclusioni probatorie, non sia ammessa a provare tale circostanza, in quanto per la prima volta dedotta dopo lo spirare delle preclusioni assertive”. (Trib. Reggio Emilia, Sent. 14/06/2012).
In sintesi estrema, anche la Corte d’Appello di Milano ribadiva che “in tema di procedimento civile, l’allegazione dei fatti costitutivi della domanda deve avvenire entro il termine stabilito, per le preclusioni assertive, dall’art. 183, comma VI, n. 1, c.p.c., entro il quale le parti devono definire il thema decidendum ed entro il quale, in particolare, l’attore deve allegare, in modo esauriente e definitivo, gli elementi costitutivi del diritto azionato che intende sottoporre a prova” (Corte Appello Milano, Sez. III, Sent. 13/01/2013, massima redazionale Pluris).
La massima da ultimo citata deve, a mio sommesso avviso, applicarsi tanto ai fatti primari quanto a quelli secondari (ed, inoltre, senza distinzione tra prove costituende e non), mancando al riguardo qualsiasi esclusione o limitazione nel regime di relevatio ab onere probandi disciplinato dall’art. 115 comma 1 c.p.c.
Per contro, la genericità delle allegazioni, se da un lato esclude la nullità della citazione ex art. 164 c.p.c., dall’altro lato espone l’attore alle preclusioni assertive e alle conseguenze derivanti dalla carenza di allegazione imposta dagli articoli 99 e 115 c.p.c., con conseguente dichiarazione di inammissibilità delle istanze istruttorie relative.
Sotto diverso, ma connesso profilo, va esaminato l’onere di allegazione in relazione alla produzione documentale.
Deve ritenersi pacifico che la mera produzione di un documento non comporti automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all’onere di allegazione, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività descrittiva ed illustrativa diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato.
Muovendo da tale considerazione, la parte che produca in giudizio dei documenti ha l’onere di allegare in modo preciso e completo a quale scopo sia avvenuta la produzione documentale, tanto che il principio di non contestazione non può e non deve operare in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte.
In tal senso, si era espressa già risalente giurisprudenza di legittimità secondo cui: “il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione” (Cass. Civ., Sez. Un., 01/12/2008, n. 2435).
Ancor più fermo e rigoroso appare il recente e condivisibile orientamento secondo cui: “L’onere di contestazione concerne le sole allegazioni in punto di fatto della controparte e non anche i documenti da essa prodotti, rispetto ai quali vi è soltanto l’onere di eventuale disconoscimento, nei casi e modi di cui all’art. 214 c.p.c., o di proporre – ove occorra – querela di falso, con la conseguenza che gli elementi costitutivi della domanda devono essere specificamente enunciati nell’atto, restando escluso che le produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l’effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l’individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l’attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell’atto introduttivo” (Cass. civ. Sez. III Ord., 08/02/2018, n. 3022 (rv. 647939-01)).
Sulla scorta di tali principi, ritengo che l’istituto della decadenza dall’esercizio del diritto alla prova ben si possa e si debba applicare anche alla “tardiva” produzione documentale, per tale intendendosi non già e soltanto quella (colpevolmente, salvo l’art. 153 c.p.c.) compiuta oltre i termini previsti dall’art. 183 comma 6 c.p.c., bensì anche quella che, per quanto astrattamente perfezionatasi nei termini di legge, non sia posta a corredo di tempestiva allegazione pertinente, che neppure potrà essere sanata in sede di gravame per invocare detti documenti nei gradi successivi del giudizio (Cass. civ. Sez. III Sent., 16/04/2013, n. 9154 (rv. 626026)).
Avv. Francesco Fontana