Dott. Andrea Nardin
Nel caso di perdita di un prossimo congiunto in conseguenza di un fatto illecito altrui (ad esempio per malpractice medica) i familiari dello stesso subiscono, anzitutto, un danno non patrimoniale che, nel nostro ordinamento, viene definito come danno da perdita del rapporto parentale.
Tale voce di danno non trova una espressa previsione normativa ma è stato elaborato dalla giurisprudenza nel corso degli anni. In particolare la Cassazione lo definisce come quel danno che si concreta “nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti” (Cass. civ. Sez. III Ord., n. 9196/2018).
Il sopra indicato inquadramento sistematico di tale danno deriva dalla giurisprudenza dei primi anni 2000. In precedenza, infatti, veniva affermato che il danno da perdita del congiunto non fosse una conseguenza immediata e diretta dell’evento lesivo e, quindi, non fosse risarcibile – in quanto danno “riflesso” – secondo quanto disposto dall’art. 1223 c.c.. Tale impostazione è stata superata a mezzo della teoria della causalità adeguata, che riconosce l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta lesiva e gli eventi prevedibili anche solo in astratto.
Uno delle principali questioni riguarda i soggetti legittimati a richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Se da un lato, infatti, risulta scontato riconoscere la risarcibilità della lesione dei rapporti familiari (genitori/figlio e tra fratelli) che godono della tutela costituzionale garantita dagli art. 2, 29 e 30 Cost., lo stesso non si può dire di quei rapporti estranei alla famiglia c.d. nucleare.
La platea dei soggetti ai quali viene riconosciuto tale risarcimento è stata via via ampliata nel corso degli anni.
In primo luogo, ad esempio, è stata svincolata dal requisito della convivenza che, oggi, non è più elemento necessario per la riconoscibilità del danno. Ed ancora, nel 2011, la Cassazione ha considerato risarcibile il danno patito dal concepito nato successivamente alla morte del genitore (Cass. Civ. 9700/2011).
Recentemente si è discusso in merito alla riconoscibilità del danno da perdita del rapporto parentale non di un membro della famiglia ‘legittima’ ma di un membro della famiglia ‘naturale’. In particolare, con la sentenza n. 8037/2016 la Cassazione ha affermato la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale subito dal convivente more uxorio conseguente alla morte del figlio unilaterale del partner qualora “sia dedotto e dimostrato che sussistesse con la vittima un rapporto familiare di fatto, che […] consiste in una relazione affettiva stabile, duratura, risalente e sotto ogni aspetto coincidente con quella naturalmente scaturente dalla filiazione”.
Sul punto il Tribunale di Milano nella redazione delle Tabelle “edizione 2018” ha recepito la giurisprudenza formatasi negli anni indicando espressamente tra i soggetti che hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da morte di un congiunto, anche il convivente di fatto e la parte dell’unione civile. Nella relazione esplicativa delle predette tabelle (pag. 3) viene previsto che “il Giudice potrà riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale anche a soggetti diversi da quelli previsti in Tabella, purché venga fornita la prova di un intenso legame effettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria a seguito della morte”.
Da ultimo, infine, con un’ordinanza dell’agosto 2018, la Corte di Cassazione è arrivata a riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale addirittura tra due soggetti entrambi in vita (Cass. Civ. n. 20825/2018).
Accadeva infatti che la madre, avendo intrattenuto relazioni con soggetti diversi, eseguiva un test del DNA che dava riscontro positivo nei confronti di uno di questi. Solo dopo alcuni anni, tuttavia, tramite un secondo test del DNA si scopriva che, in realtà, il padre del minore era un altro uomo. A seguito di questi fatti il presunto padre abbandonava la casa familiare.
Madre e figlio adivano quindi in giudizio i medici e l’Azienda Ospedaliera che avevano eseguito l’errato test del DNA chiedendo il risarcimento del danno psico-fisico subito da entrambi e, con riferimento al solo figlio, anche il danno da perdita del rapporto parentale dovuto all’allontanamento del presunto padre con il quale – nel corso del tempo – si era stabilito un forte vincolo affettivo.
In primo luogo, la Corte – seguendo l’orientamento giurisprudenziale prevalente sopra indicato – ritiene che la lesione del rapporto parentale debba essere riconosciuta a prescindere dal vincolo di sangue tra i soggetti e che debba basarsi, piuttosto, sull’effettivo legame presente tra i due il quale deve essere caratterizzato da stabilità, consuetudini di vita e abitudini comuni tipiche del rapporto padre-figlio.
Ma ancor più interessante è il passo nel quale la Corte ritiene sussistere il danno da perdita del rapporto parentale pur essendo in vita sia il minore che il padre. In particolare, la Corte d’Appello, pur riconoscendo il legame affettivo da parte del bambino verso il presunto padre, aveva tuttavia negato la liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale (tra il bambino ed il presunto padre), per la ragione che entrambi fossero ancora viventi. La Cassazione, correggendo la motivazione della sentenza di secondo grado, afferma come “Il danno [da perdita del rapporto parentale] deve, in particolare, essere riconosciuto in relazione a qualsiasi causa interrompa questo rapporto, che non deve essere necessariamente la morte”.
In conclusione, si rileva la portata innovativa della pronuncia sopra indicata la quale potrà avere importanti risvolti pratici in una materia che, comunque, risulta essere in continua evoluzione ed ampliamento.
Dott. Andrea Nardin