Dott. Francesca Magnabosco
Marco Cappato, alla fine, ce l’ha fatta davvero e ha portato davanti alla Corte costituzionale l’art. 580 c.p..
Ricordiamo che, dopo aver accompagnato Antonini Fabiano presso l’associazione Dignitas in Svizzera, il sig. Cappato aveva chiesto di essere processato al fine di creare un dibattito sul c.d. suicidio assistito, oggi ancora disciplinato dall’art. 580 (l’articolo in questione è stato introdotto nel 1930 con il codice Rocco, in un determinato contesto politico nel quale l’uomo aveva un «valore sociale» dal quale discendeva un dovere di restare in vita ed in buona salute, non solo per sé ma in quanto parte della collettività).
Le condotte contestate a Marco Cappato, leader dei radicali, in riferimento alla morte di DJ Fabo, sono di:
- aver rafforzato il proposito suicidiario di Antoniani Fabiano (detto Fabo), affetto da tetraplegia e cecità a seguito di incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso la sede dell’associazione Dignitas, a Pfaffikon in Svizzera, e attivandosi per mettere in contatto i familiari di Antoniani, con la Dignitas fornendo loro materiale informativo;
- aver agevolato il suicidio dell’Antoniani, trasportandolo in auto presso la Dignitas in data 25 febbraio 2017 dove il cosiddetto suicidio assistito si verificava il 27 febbraio 2017.
La Corte d’Assise di Milano, con Ordinanza del 14 febbraio 2018, ha escluso che l’imputato abbia compiuto condotte di rafforzamento della decisione suicidaria.
Mentre, in relazione alla condotta di “agevolazione”, la Corte ha accolto le richieste subordinate dei Pm, sollevando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidiario, ipotizzando la violazione dei principi sanciti agli artt. 3, 13, comma 2, 25, comma 2, 27, comma 3 della Costituzione, che richiedono, tra l’altro, la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell’offensività della condotta accertata.
La Corte d’Assise ha ritenuto che in forza dei principi costituzionali dettati agli artt. 2, 13, comma 1 ed all’art. 117 della Costituzione con riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, “all’individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e di conseguenza solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame”.
Pertanto, per i giudici, Marco Cappato non ha rafforzato il proposito suicidiario e la parte della norma (art. 580 c.p.) che punisce l’agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell’altra persona presenterebbe evidenti profili di illegittimità costituzionale, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale.
Nella fattispecie sono due i profili di incostituzionalità: l’equiparazione tra aiuto e istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) e la conseguente sproporzione della condanna per l’aiuto al suicidio (dai 6 ai 12 anni, come per l’istigazione).
L’esito finale della vicenda sarà dettato dalla Consulta, chiamata a dirimere una questione più che mai viva nella coscienza sociale.
Il Parlamento qualcosa ha fatto in ordine al difficile tema del fine vita con la legge sul testamento biologico, ossia legge 22 dicembre 2017 n. 219 relativa alle “norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, ma come spesso accade sarà la magistratura (in questo caso costituzionale) ad avere la possibilità di segnare una vera svolta nell’ordinamento.
Si precisa, altresì, che in data 03.04.2018, il governo italiano si è costituito avanti alla Corte Costituzionale nel procedimento contro Marco Cappato a difesa della costituzionalità del reato di aiuto al suicidio motivando tale scelta dall’esigenza di evitare un totale vuoto normativo sul punto.
Dott. Francesca Magnabosco