Avv. Laura Tessari
Il vaso “vaso Veronese” di Venini è un’opera d’arte e un segno distintivo Venini s.p.a., celeberrima fornace muranese in cui i Maestri Vetrai, con soffi e manualità, realizzano e danno vita ai disegni di insigni autori (quali, tra i tanti, Carlo Scarpa, Gae Aulenti, Mario Bellini) che collaborano con la stessa, ha ottenuto il riconoscimento giuridico del valore artistico e distintivo dell’estetica del proprio “vaso Veronese”. Il Vaso Veronese è un’opera d’arte, l’estetica è originale e individualizzante e la sua stessa denominazione “vaso Veronese” ha valore di “titolo dell’opera d’arte” che, come tale, merita tutela. Inoltre, il “Veronese” è un’icona che costituisce un pregio idoneo ad esaltare le qualità della fornace Venini. Il considerevole “riconoscimento” è dispiegato nelle 23 pagine della recente sentenza emessa dal Collegio della Sezione Specializzata in materia di impresa del Tribunale di Venezia, pubblicata il 21 febbraio 2019.
La vicenda giudiziaria che ha portato il Collegio del Tribunale specializzato lagunare ad esprimersi sul valore dell’iconico “vaso Veronese” ha avuto origine nel 2014. Allora, l’azienda Venini nota per la creazione di opere in vetro caratterizzate, oltre che dalla padronanza delle tecniche di lavorazione, per la rottura degli schemi tradizionali e l’apertura verso le avanguardie artistiche, si rivolgeva al citato Tribunale. Venini lamentava di subire ed aver subito plurime condotte di concorrenza sleale (per “imitazione servile di prodotto”, per appropriazione di pregi, per imitazione “a ricalco” del vaso Veronese) oltre che di violazione del diritto d’autore (o, meglio, diritto connesso al diritto d’autore) di sfruttamento economico del “vaso Veronese”, tutte perpetrate mediante la produzione, vendita e pubblicizzazione di vasi imitativi del “Veronese”, da parte di una nota vetreria muranese sua concorrente. Oltretutto, la citata vetreria proponeva in vendita le copie del “vaso Veronese” – anche – sull’e-commerce del proprio sito web, così permettendone l’acquisto a consumatori da ogni luogo del mondo. Conseguentemente, Venini chiedeva al giudicante veneziano di vedersi tutelata mediante l’emissione di un ordine volto ad impedire alla controparte la continuazione delle attività di illegittima produzione, pubblicizzazione e commercializzazione delle copie del “vaso Veronese”, oltreché la fissazione di una somma a titolo di penale, il riconoscimento della potenzialità dannosa degli illeciti compiuti dalla controparte da risarcire a titolo di danno patrimoniale e non patrimoniale ed infine la pubblicazione della sentenza su un quotidiano a tiratura nazionale. Domande accolte, tutte, con il citato provvedimento..
Lo sguardo dei giudici lagunari si focalizzava, dunque, sul “vaso Veronese”. Non certo un semplice vaso di vetro, ma un’autentica opera frutto dell’estro creativo del noto Maestro Vetraio muranese Vittorio Zecchin che, per Venini, soffiava abilmente il vetro per realizzare in tridimensione quel piccolo vaso dalla sagoma tondeggiante che aveva notato sullo sfondo di un dipinto del 1556: “L’Annuncianzione della Vergine” di Paolo Veronese. Era il 1921. E la storia racconta che il Maestro della fornace Venini, attratto dalla silhouette pulita ed elegante di quel vaso poggiato sulla balaustra a fianco della Vergine annunciata, decideva di dar forma allo stesso, seppure la moda dei c.d. “ruggenti anni venti” privilegiasse arredi intarsiati e decorati. Zecchin, realizzando il “vaso Veronese” si allontanava nettamente dal gusto “déco” del tempo, rinunciando a qualsiasi tipo di decorazione superflua, valorizzando, al contrario, la leggerezza e la limpidezza del vetro, così creando un vaso rimasto “nella storia” che ha ottenuto significativi riconoscimenti della critica del settore e che è stato esposto «non solo nell’ambito di eventi di settore o di esposizioni aventi ad oggetto l’arte del vetro, ma anche in seno a note esposizioni fieristiche del settore in ambito internazionale». Il racconto racchiude le ragioni che hanno spinto i Giudici Veneziani a ricondurre l’estetica del “vaso Veronese” nell’alveo della tutela autorale. V’è da dire che tale statuizione non è affatto scontata, ma frutto di una accurata riflessione, posto che il vaso in questione appartiene alla categoria delle “opere dell’industrial design”. Cioè il “Veronese” non è un’opera esistente in un unico esemplare, ma un prodotto – seppure artigianale – atto ad essere ri-prodotto “in serie”. Si tratta, dunque, di un prodotto che fonde in sé esigenze di tipo pratico con altre puramente estetiche. E può essere esaminato sotto vari profili a seconda del peso che si voglia dare alle differenti anime che lo caratterizzano: l’aspetto basato sulla riproduzione “in serie” del prodotto, il profilo funzionale legato all’utilizzabilità del bene medesimo ed infine, l’aspetto estetico. Per tutte queste ragioni il tema riferito al tipo di tutela da riconoscere all’apparenza dei manufatti di design non è mai stato pacifico, essendo avverse le opinioni di chi, nel caso concreto, tenderà a valorizzare il profilo artistico ritenendo il prodotto meritevole di accedere alla tutela autorale e chi, viceversa, ne sottolineerà l’inclinazione industriale, ritenendo più consona a questa natura una tutela per disegni e modelli, fino a chi riterrà presente il valore dell’aspetto distintivo del prodotto di design, al quale è accordata la tutela come marchio di forma. Si parla, infatti, di “trasversalità della forma” proprio perché l’apparenza del prodotto può incontrare diversi tipi di protezione a seconda delle caratteristiche dell’oggetto di industrial design. Così, l’estetica di un prodotto, per essere protetta dal diritto d’autore deve possedere “in sé” – dice la Legge sul diritto d’autore – un “valore artistico”, da interpretarsi come particolare capacità comunicativa, evocativa, in aggiunta alla gradevolezza delle sue forme. Nel caso di specie i membri del Collegio Lagunare hanno dimostrato di aderire all’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente teso a sostenere che il requisito del “valore artistico” vale a limitare l’applicabilità della tutela autorale alle opere di design di “maggior pregio”, caratterizzate dalla prevalenza del valore estetico/artistico rispetto a quello funzionale/industriale. E, per evitare un giudizio “soggettivo” basato sulla personale sensibilità e percezione dell’opera, il Collegio ha condotto l’indagine sulla base di parametri oggettivi, quali i riconoscimenti ottenuti dal prodotto, la sua esposizione in mostre, la pubblicazione in riviste specializzate (così attenendosi ai parametri indicati dalla Suprema Corte in Cass. Civ. 23292/2015; Cass. 7477/2017). I giudicanti, analizzando l’ampia documentazione versata in atti, hanno riscontrato come il “vaso Veronese” abbia ottenuto «ampi ed oggettivi riconoscimenti dalla critica del settore […], è stato spesso impiegato ufficialmente quale riconoscimento onorifico di pregio e consegnato, ad esempio, come omaggio al Patriarca di Venezia nel 2012 oppure come premio nell’ambito di importanti rassegne cinematografiche, quali la Film Society of Lincoln di New York e la Mostra internazionale cinematografica di Venezia». Sotto il profilo della “creatività” (concetto giuridico che, lo si ricorda, non coincide con quello di “novità o originalità assoluta” ma piuttosto con quello di “impronta personale dell’autore” nell’opera– così Cass. 50089/04), i magistrati hanno colto come il “vaso Veronese” sia il frutto dell’estro acuto, non banale, di riproporre in tridimensione ed in chiave moderna, a distanza di quattro secoli, la sagoma di un vaso rappresentato in bidimensione in un celebre dipinto e che, per questo, è espressione di una scelta creativa personale ed apprezzabile. Tanto è valso a far ritenere al Collegio giudicante che «al vaso creato da Venini nel 1921 denominato Veronese, possa essere riconosciuta la tutela autoriale». E che, oltretutto, «la tutela va anche riconosciuta al titolo dell’opera» denominata “vaso Veronese” quale elemento accessorio dell’opera (ex art. 100 L.d.a.) che ha la funzione di distinguere la stessa dai prodotti simili.
V’è di più. La Corte ha poi accertato che l’estetica del “vaso Veronese” non è solamente originale, ma anche “distintiva” o “individualizzante”, cioè capace di assolvere alla funzione “di marchio” dell’impresa Venini. Di tal che si può affermare che la l’estetica del vaso Veronese assolve sostanzialmente alla funzione di “marchio di forma” non registrato, c.d. di fatto. L’iconicità del “vaso Veronese” fa sì che il consumatore, al vedere il vaso che ci occupa, pensi a “Venini”. Ciò a dire che l’estetica del “vaso Veronese” ha, dal punto di vista giuridico, due anime. È un’opera d’arte e, allo stesso tempo, un “indicatore di provenienza”, ossia un marchio.
Conseguentemente e conclusivamente, la Sentenza che ci occupa statuisce inequivocabilmente che chi immette nel commercio prodotti imitativi dell’originale “vaso Veronese”, o utilizza indebitamente il termine “vaso Veronese”, commette una pluralità di illeciti che si sostanziano nella violazione dei diritti -morali e patrimoniali- d’autore sull’opera; nella fattispecie della concorrenza sleale confusoria (id est “imitazione servile” ex art. 2598 n. 1 c.c.), infine nell’ulteriore fattispecie della concorrenza sleale per appropriazione di pregi (ex. art 2598 n. 2 c.c.) perché, come esplicitato dal Collegio, chi riproduce illecitamente il “vaso Veronese”, che è opera dal “valore artistico” ampiamente riconosciuto, si appropria indebitamente dei pregi appartenenti all’impresa Venini.
Avv. Laura Tessari