Avv. Nicola Cera
I dati statistici confermano la sempre maggiore diffusione di modelli familiari complessi, soprattutto con riferimento alle famiglie cd. allargate o, più correttamente, “ricomposte” o “ricostituite”; tali sono le famiglie in cui almeno uno dei due coniugi, se non entrambi, hanno già vissuto un’esperienza di famiglia precedente, con la quale la famiglia ricomposta forma una cd. “costellazione familiare”.
Alla figura storica della famiglia ricomposta dopo il decesso di uno dei coniugi, si sono aggiunti i modelli familiari ramificati derivanti da precedenti separazioni e divorzi (o da separazioni di fatto di genitori naturali) con conseguenze ed effetti maggiormente penetranti, anche in ragione del fatto che l’interruzione della vita di coppia derivante da separazione – verificandosi ad un età mediamente molto più giovane rispetto a quella causata da decesso – genera più facilmente nuove famiglie e nuovi figli.
In questo contesto, si pone – tra gli altri – il problema di attuare una ripartizione equilibrata delle risorse economiche derivanti da famiglie diverse, dopo la morte di uno dei componenti della costellazione familiare.
Si deve ricordare che con la riforma delle successioni del 1975 la posizione del coniuge superstite è stata significativamente valorizzata, assumendo una posizione di preminenza nella successione; ad esso/a, spetta necessariamente (successione necessaria) la metà o il terzo o il quarto del patrimonio del coniuge defunto, a seconda che concorra o meno con i figli e del numero di questi.
Questa pur apprezzabile forma di “sovracompensazione” del coniuge finisce tuttavia per avere effetti distorsivi quando la struttura del gruppo familiare originario si arricchisce di nuove ramificazioni; infatti, il collegamento che si instaura tra i patrimoni dei coniugi che passano a seconde nozze fa si che, alla loro morte, il nuovo coniuge superstite riceva una considerevole quota di eredità e questo, nella prospettiva dei figli del primo matrimonio, rappresenta una significativa lesione dell’aspettativa sulla successione del genitore; al contrario, laddove il coniuge passato a nuove nozze sopravviva al nuovo coniuge, saranno i figli del secondo matrimonio a subire una diminuzione dell’aspettativa, in favore di quelli del primo.
A titolo di esempio, pensiamo al caso di una famiglia originaria formata da A (marito), B (moglie) e C (figlio), seguita da un divorzio dopo il quale il marito (A) abbia dato origine a una nuova famiglia con D (nuova moglie) e una nuova figlia (E). Si tratta, ovviamente, di uno dei casi più semplici, che non tiene conto dell’eventuale ulteriore ramificazione per un nuovo matrimonio della prima moglie, o dell’eventuale preesistenza di figli dei nuovi partner, delle figure dei nonni, etc.
In questo esempio, se il marito A muore prima della seconda moglie D, quest’ultima riceverà necessariamente una parte del patrimonio, e ciò, in ultima analisi, andrà a beneficio della figlia E, la quale – alla morte della madre – si avvantaggerà anche della quota del patrimonio di A trasferita alla mamma; al contrario, in caso di premorte della moglie D rispetto al marito A, quest’ultimo riceverà necessariamente una parte del di lei patrimonio, con beneficio del figlio C, avuto in costanza del primo matrimonio, il quale – alla morte del padre – beneficerà in via diretta anche della quota di patrimonio ricevuta dal padre per effetto della morte della signora D, per giunta senza avere alcun collegamento biologico o parentale con quest’ultima.
Come si vede, il vantaggio di uno o dell’altro figlio (di primo e secondo letto) dipende esclusivamente dal fatto che A premuoia a D, ovvero che accada il contrario; appare quindi evidente che– nelle ipotesi di costellazioni familiari – le norme della successione necessaria possono portare a risultati inadeguati e dipendenti da fattori casuali ed incontrollabili.
Il problema è dovuto al fatto che la disciplina della successione necessaria ha assunto come modello quello della famiglia unita, nella quale non si aggiungono nuovi soggetti e ramificazioni, con la conseguenza che oggi – essendosi modificato il modello – occorre trovare nuove risposte alle domande poste dal nuovo contesto sociale (nel 2012 ogni 1.000 matrimoni vi erano 311 separazioni e 174 divorzi).
Ciò premesso, occorre segnalare che vi sono dei rimedi contenuti nelle norme del codice civile che possono ovviare o attenuare tale inadeguatezza; si tratta di correttivi che sono rimessi alla volontà delle parti e rispetto ai quali, comunque, occorre tenere presente l’ineludibilità delle norme in materia di successione necessaria e il rigido divieto dei patti successori; si tratta, peraltro, di una materia complessa, rispetto alla quale la persona comune – ammesso che senta il bisogno di stabilire la destinazione del proprio matrimonio dopo la morte – ha la necessità di farsi assistere da un professionista (avvocato o notaio).
Il primo e il più importante strumento è, indiscutibilmente, il testamento, mediante il quale è possibile ovviare alle distorsioni sopra esaminate mediante l’utilizzazione della quota disponibile dell’eredità; inoltre, si segnalano i patti di famiglia di cui agli artt. 768 bis e ss. c.c. che conferiscono (in presenza di attività imprenditoriale) la possibilità di gestire il passaggio generazionale dell’impresa, trasferendo ad uno o più discendenti l’azienda o le quote di partecipazione al capitale della “società di famiglia”, senza che vi possano essere contestazioni in sede di eredità; infine, possono essere utilizzati strumenti indiretti, quali la donazione (796 e ss. c.c.) o il trust (2645 ter c.c.), con l’avvertenza che tali strumenti devono essere calibrati tenendo conto degli istituti della riduzione (553 e ss. c.c.) e della collazione (737 e ss. c.c.); in alternativa e con una certa dose di coraggio, potrebbero essere stipulati degli accordi prematrimoniali, sull’esempio dei cd. prenuptial agreements statunitensi, con l’avvertimento – tuttavia – che ad oggi tali patti sono considerati nulli dalla giurisprudenza italiana (da ultimo Cass. Civ. 2224/2017); l’efficacia di tali patti dipenderebbe, pertanto, da un improbabile e radicale cambiamento della valutazione giurisprudenziale, oppure da un riconoscimento legislativo della validità di tali patti, come peraltro già da più parti auspicato.
Avv. Nicola Cera