In un mondo in cui la provenienza geografica dei prodotti o servizi, soprattutto se italiana, costituisce un vantaggio competitivo per gli operatori, la registrabilità di marchi contenenti riferimenti geografici assume importanza centrale.
Il codice della proprietà industriale impone all’art. 13 c.p.i. (che ricalca la corrispondente norma europea art. 7 par. 1 lett. c) Reg. UE 2017/1001) un divieto alla registrazione come marchio di mere indicazioni geografiche, prive di altri elementi distintivi, laddove l’indicazione in questione individui la zona di produzione del prodotto marcato o sia comunque evocativa di sue caratteristiche qualitative. Nel caso dei toponimi, il loro utilizzo quale segno distintivo è in linea generale precluso in quanto solitamente una simile indicazione presenta un significato descrittivo della qualità del prodotto. Ciò si verifica soprattutto nel campo dei prodotti agricoli e vitivinicoli e dei loro derivati, dove elementi climatici e qualità dei suoli spesso influenzano la qualità dei prodotti (si pensi al vino Chianti o alle arance di Sicilia). In tali casi, i nomi geografici non sono registrabili come marchio individuale da un singolo operatore, ma possono al più costituire oggetto di marchi collettivi o indicazioni d’origine e possono pertanto essere utilizzati da tutti i soggetti che operano nella zona e rispettano i requisiti di qualità imposti dai disciplinari.
Quando invece il marchio ha una portata descrittiva, l’esclusione della registrabilità corrisponde pienamente allo scopo dell’art. 13: vi è infatti un interesse generale a preservare la disponibilità dei nomi geografici, per la loro capacità non solo di rivelare eventualmente la qualità e altre proprietà della categoria di prodotti o servizi interessati, bensì anche di influenzare diversamente le preferenze dei consumatori, ad esempio associando i prodotti o servizi ad un luogo che può suscitare sentimenti positivi.
Ancora, è esclusa la registrazione di segni idonei ad ingannare il pubblico circa la provenienza geografica dei prodotti e servizi contraddistinti. Il limite è espressamente posto dagli artt. 14 co. 1 lett. b) c.p.i. e 7 lett. g RMUE che compongono lo statuto di non decettività del marchio e che tutelato la funzione di garanzia della veridicità del messaggio trasmesso dal marchio. Si tratta solitamente dell’ipotesi in cui l’imprenditore adotta il nome di una località diversa rispetto a quella in cui opera e tale località è idonea ad incidere sulla qualità dei prodotti stessi. Sono stati ritenuti decettivi, ad esempio, i marchi «Impreria» e «Oneglia» per contraddistinguere confezioni di olio di oliva, quando il prodotto è realizzato con olive di produzione, in gran parte, extraligure o anzi extraitaliana in quanto per il pubblico medio dei consumatori l’inserimento nel marchio di toponimi relativi ad una zona tradizionalmente rinomata per la cultura dell’ulivo assume ingannevolmente il significato di indicazione della provenienza geografica della materia prima utilizzata.
La registrazione è invece sempre consentita quando il luogo geografico assume una connotazione di fantasia, ovverosia contiene indicazioni geografiche che non esprimono caratteristiche qualitative del prodotto né evocano la zona di produzione. Si pensi ai noti marchi “Montblanc” per le penne o “Brooklin” per le gomme.
La disciplina illustrata è stata confermata e specificata dalla giurisprudenza nazionale ed europea. In particolare, il caposaldo della giurisprudenza sovranazionale è rappresentato dalla sentenza c.d. “Cloppenburg”.
Il caso è stato discusso dal Tribunale dell’Unione europea in seguito al rifiuto alla registrazione del segno denominativo “Cloppenburg” per la Classe di Nizza 35 «servizi di commercio al minuto» ai sensi dell’art. 7 par. 1 lett. c) RMUE. Secondo dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) il consumatore avrebbe percepito il termine come un’indicazione di provenienza geografica, in quanto Cloppenburg designerebbe una città tedesca, situata in Bassa Sassonia in cui il prestatore dei servizi aveva il proprio sito.
Il Tribunale valutava quindi se Cloppenburg costituisse un nome noto negli ambienti interessati o, quantomeno, conosciuto in quanto designazione di un luogo geografico. A tal fine, faceva riferimento alla topografia ufficiale e concludeva la località fosse sconosciuta ed anonima al grande pubblico. In secondo luogo, valutava se la località fosse rinomata per la categoria di prodotti o servizi di cui trattasi, fornendo anche a questo quesito risposta negativa. Il segno veniva pertanto riconosciuto come valido, poiché non idoneo a fornire al consumatore informazioni circa la provenienza geografica dei prodotti contraddistinti.
La Corte di giustizia ha peraltro assunto nel tempo, in merito alla registrabilità di marchi geografici, una posizione abbastanza restrittiva, escludendo la registrazione non solo dei segni idonei a rivelare qualità e altre proprietà dei prodotti contraddistinti, ma anche semplicemente idonei ad evocare “sentimenti positivi”. Emerge quindi a pieno la ratio del divieto, volta ad impedire la costituzione di un’esclusiva che comporti un indebito vantaggio competitivo al suo titolare.
Anna Borgo