AFPC – Benatello – Peron
Con l’ultimo DPCM del 26.04.2020 sono state aggiornate le misure che l’imprenditore dovrà adottare dal 4.05 pena la sospensione dell’attività.
Si tratta di misure di prevenzione del contagio da Covid-19 che vanno ad integrarsi e a completare quelle del Protocollo del 14.03.2020 e che, se non rispettate, così come previsto dall’art. 2 del DPCM, comporteranno la sospensione dell’attività lavorativa fino al ripristino delle condizioni di sicurezza.
Il suddetto DPCM, in vigore il 04.05.2020, contiene 3 Protocolli, condivisi con le parti sociali, di regolamentazione per il contenimento della diffusione del Covid-19.
Il primo, di carattere generale, riguarda tutti gli ambienti di lavoro ed è contenuto nell’allegato 6 del DPCM; il secondo e il terzo Protocollo, contenuti negli allegati 7 e 8, sono dedicati rispettivamente alle misure da adottare nei peculiari ambiti dei cantieri e dei trasporti e logistica.
Vediamo, quindi, quali sono le prescrizioni da adottare negli ambienti di lavoro per la c.d. fase 2 e quali possono essere i consigli – sotto il profilo giuridico – per evitare di incappare in spiacevoli sanzioni.
Il nuovo Protocollo, generale, di cui all’allegato 6 del DPCM, apporta significative modifiche a tutti i paragrafi di quello originario del 14.03.2020, introducendone due di nuovi in materia di sorveglianza sanitaria e di aggiornamento del protocollo di regolamentazione.
Tra le modifiche più significative vanno segnalate quelle relative alla sanificazione degli ambienti lavorativi (in precedenza facoltativa) che, in base al paragrafo 4, è diventa obbligatoria “nelle aree geografiche a maggiore epidemia o nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di Covid”, laddove “è necessario prevedere, alla riapertura, una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni”.
Quanto ai dispositivi di protezione individuale, l’uso delle “mascherine chirurgiche” è diventato obbligatorio non solo per i lavoratori costretti a lavorare a distanza interpersonale ridotta ma, in base al paragrafo 6 del protocollo, “per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni”.
L’obbligo per l’azienda di fornire una informazione adeguata ai lavoratori e a chiunque entri in azienda circa le disposizioni delle Autorità (ad esempio consegnando e/o affiggendo all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali appositi depliants informativi) è stato integrato con l’obbligo di fornire una specifica informazione circa il corretto utilizzo dei DPI.
Ancora, è stato espressamente previsto il coinvolgimento del medico competente non solo nell’individuazione delle specifiche misure da adottare in azienda (in relazione alle peculiarità dell’attività) ma anche nella tutela dei lavoratori con particolari situazioni di fragilità, anche in considerazione all’età.
Il paragrafo 8 del Protocollo impone, poi, la rimodulazione degli spazi di lavoro e una serie di misure per garantire un adeguato distanziamento ai lavoratori che operano contemporaneamente in un unico ambiente.
Il protocollo conferma, poi, la disposizione in base alla quale il datore di lavoro possa sottoporre – su base volontaria – il personale, prima dell’accesso in azienda, al controllo della temperatura corporea, vietando l’ingresso qualora questa sia superiore ai 37,5°.
Vengono previsti, al par. 3, nuovi specifici obblighi a carico dei committenti, i quali sono tenuti a “dare all’impresa appaltatrice, completa informativa dei contenuti del protocollo aziendale” e di “vigilare affinchè i lavoratori della stessa o delle aziende terze che operano nel perimetro aziendale ne rispettino le disposizioni”.
Le modalità d’ingresso in azienda di dipendenti, clienti, fornitori e visitatori esterni, sono state sostanzialmente confermate, così come le procedure di transito e uscita.
In materia di igiene personale è stato introdotto l’obbligo per l’azienda di installare dispenser con detergenti per le mani in punti facilmente accessibili a tutti i lavoratori.
Quanto ai cantieri, l’apposito protocollo (allegato 6) ricalca sostanzialmente le misure di cui sopra, con i naturali adattamenti alla particolare struttura di tale ambiente lavorativo nel quale sono coinvolte, di norma, molteplici aziende.
Rispetto, a tale ambito produttivo merita, piuttosto attenzione la problematica degli inadempimenti contrattuali che potrebbero derivare da particolari criticità in termini di sicurezza del cantiere. Sul punto, il Protocollo di cui all’allegato 7 propone una esemplificazione standard (“tipizzazione pattizia”), della disposizione di carattere generale di cui all’art. 91 D.L. 17 marzo 2020 n. 18, secondo la quale “il rispetto delle misure di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di Covid-19 è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore”, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.
Il mancato rispetto delle disposizioni di cui ai sopra indicati Protocolli può comportare non solo la sospensione dell’attività lavorativa ex art. 2 del DPCM 26.4.2020, ma può anche esporre l’azienda a responsabilità (in ambito civile, penale e amministrativo).
Innanzitutto, potrebbe configurarsi una responsabilità contrattuale del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo generale di cui all’art. 2087 c.c. Eventuali lavoratori contagiati potrebbero, infatti, sostenere che il datore di lavoro è inadempiente rispetto al predetto obbligo per non aver adottato le misure necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della propria prestazione.
Inoltre, nell’ipotesi in cui il contagio si sia diffuso nell’ambiente di lavoro con conseguenze gravi sotto il profilo sanitario per i lavoratori colpiti, potrebbe configurarsi una responsabilità di tipo penale del datore di lavoro – ossia colui il quale riveste tale qualifica ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 – o del delegato di funzioni ex art 16 D. Lgs 81/2008 per i reati di cui agli artt. 589 e 590 del Codice penale (lesioni personali colpose gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro – omicidio colposo).
Trattandosi di reati presupposto della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001, si evidenzia il rischio anche di una contestazione a carico dell’ente a tale titolo.
Si sottolinea, infine, che l’applicazione di alcune disposizioni di cui ai sopra indicati protocolli evidenzia aspetti problematici sotto il profilo del rispetto della normativa sulla privacy.
Infatti, la rilevazione in tempo reale della temperatura corporea (prevista dal par 1) costituisce un trattamento dei dati personali, come pure la richiesta (nei casi in cui prevista) del rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti con soggetti risultati positivi al Covid 19; pertanto, entrambi detti adempimenti del Protocollo dovranno avvenire nel rispetto della normativa privacy vigente. Ad esempio, tali dati potranno essere trattati per la sola finalità di prevenzione del contagio da COVID-19 e bisognerà predisporre un’informativa specifica, da affiggere all’ingresso dei locali aziendali e da consegnare all’interessato, contenente le modalità di raccolta e trattamento dei dati per la finalità del contagio da COVID-19, ecc.
Alla luce di quanto sopra appare fondamentale, anzi “vitale”, per l’imprenditore adottare una apposita procedura aziendale (scritta) che ricalchi i Protocolli di cui sopra, adattandoli alla propria realtà, in modo tale da adeguare l’impresa alla c.d. “Fase 2”.
L’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi rispetto al rischio di contagio da COVID-19, seppur consigliato dagli scriventi, non è stato ritenuto indispensabile dalla Regione Veneto nelle proprie “Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari del 29.4.2020”, atteso che negli ambienti non sanitari quello da Covid non è un rischio professionale ma un rischio biologico generico
Tali adempimenti consentiranno di dare evidenza e prova dell’adozione delle misure essenziali per poter, in primo luogo, riprendere o proseguire l’attività imprenditoriale e, in secondo luogo, per mettere al riparo l’azienda e il datore di lavoro (e/o il delegato di funzioni ex art. 16 D.Lgs 81/2008) da pesanti responsabilità.
Un’ultima considerazione va fatta rispetto alla sospensione dell’attività aziendale prevista dall’art. 2 del DPCM 26.4.2020. Tale disposizione prevede che “la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”; ciò significa, a nostro avviso, che il mancato letterale rispetto di una o più disposizioni del protocollo non implica automaticamente la sospensione dell’attività imprenditoriale, laddove siano state adottate nel complesso misure idonee (ed equivalenti a quelle del protocollo) a garantire la sicurezza di dipendenti e operatori.
Avv.ti Lisa Benatello e Stefano Peron