Avv.Elena Gallato
Capita frequentemente che il proprietario dell’immobile, dato in comodato al figlio per destinarlo ad abitazione familiare, debba fare i conti con la separazione del figlio e con l’assegnazione alla nuora della casa familiare.
Vediamo in che misura il provvedimento giudiziale di assegnazione è opponibile al comodante proprietario e quali sono i suoi rimedi per chiederne la restituzione.
Va anzitutto premesso che, in mancanza di un provvedimento giudiziale (ordinanza presidenziale, sentenza di separazione o divorzio, decreto camerale, omologa consensuale), l’assegnazione è inopponibile al comodante, per cui il coniuge separato o divorziato, rimasto nella casa coniugale in difetto di assegnazione, deve restituirgli immediatamente l’immobile (Cass. Civ. Sez. III, 14.02.2013 n. 2103).
Invece, in presenza di un provvedimento, l’opponibilità dell’assegnazione al comodante va senz’altro esclusa:
- a) allorché non ci siano figli (nei casi cioè in cui dovrebbe essere esclusa la stessa assegnazione della casa familiare);
- b) allorché la destinazione originaria dell’immobile fosse diversa dall’uso come casa familiare e
- c) allorché il comodante sia un ente o una persona non parente del comodatario, per cui la destinazione dell’immobile a casa familiare non si può farsi risalire agevolmente alle intenzioni del comodante.
Al di fuori dei casi suindicati, il problema dell’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare all’originario proprietario che ha concesso in comodato l’immobile, e cioè se e in che termini egli sia o meno vincolato all’assegnazione effettuata dal giudice della separazione (o del divorzio), è stato risolto definitivamente dalla Cass. Civ. Sez. Unite del 29.09.2014 n. 20448 che, confermando e precisando l’orientamento già formulato dalla Cass. Civ. Unite del 21.07.2004 n. 13603, ha sussunto il comodato destinato ad abitazione familiare nell’ambito del cosiddetto comodato a termine ex art. 1809 c.c. e non in quello precario ex art. 1810 c.c..
La giurisprudenza di legittimità e di merito successiva è tutta conforme (cfr. Cass. civ. Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24618; Cass. civ. Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1666 e Cass. civ. Sez. III, 9 febbraio 2016, n. 2506; Cass. civ. Sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass. civ. Sez. III, 31 maggio 2017, n. 13716; Tri. La Spezia 17.01.2018; Tribunale di Padova, 5.09.2017).
La Corte ha affermato che il comodato, destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario senza ulteriori limitazioni o pattuizioni, è un contratto che sorge per un uso preciso e, comunque, per un tempo che è determinabile per relationem, in quanto può essere individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, e ciò indipendentemente dall’insorgere della crisi familiare.
Ha, inoltre, affermato che il provvedimento di assegnazione non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento dell’immobile, ma determina semplicemente una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva la sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno ex art. 1809, comma 2, c.c..
Quindi, il proprietario comodante potrà chiedere la restituzione immediata dell’immobile concesso in comodato al solo venir meno della destinazione ad uso familiare contrattualmente pattuita e, in ogni caso, con la sopravvenienza di un bisogno urgente (inteso come imminente), concreto (quindi, non potenziale), serio e imprevisto (quindi, non volontariamente indotto) [Cass. civ. Sez. III, 17 dicembre 2015, n. 25356; Cass. civ. Sez. III, 17 ottobre 2016, n. 20892].
A quest’ultimo proposito, vale la pena di precisare che la giurisprudenza di legittimità citata esclude che trovino immeritata tutela tutti i comportamenti inutilmente ostruzionistici dei beneficiari dell’alloggio, finalizzati a protrarre indebitamente il godimento della casa familiare.
Tra gli altri, con riferimento all’uso strumentale dell’”autosufficienza economica dei figli maggiorenni conviventi”, essa richiama i principi per cui, in forza del dovere di auto-responsabilità che incombe sui figli maggiorenni, non si può pretendere che la destinazione ad uso familiare si protragga oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura e ciò, perché “l’obbligo dei genitori nei confronti dei figli si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione”.
Avv.Elena Gallato