Avv. Stefano Peron
E’ legittimo il licenziamento per scarso rendimento del dipendente qualora sia rinvenibile in capo allo stesso un “notevole inadempimento degli obblighi assunti con il contratto di lavoro”, riscontrabile laddove vi sia una “notevole sproporzione (per quantità e qualità) tra l’attività lavorativa del ricorrente rispetto a quella dei suoi colleghi, di inquadramento e anzianità pari o inferiore”; è quanto stabilisce la Corte di Cassazione, più volte pronunciatasi sul punto negli ultimi anni.
Ad esempio, con la sentenza del 09 luglio 2015, n. 14310 la Suprema Corte ha confermato la correttezza della pronuncia della Corte d’appello di Torino che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore sulla base della dimostrata “sproporzione tra la sua attività con gli obiettivi fissati dai programmi di produzione, anche paragonandola al rendimento dei colleghi”. La Suprema Corte, in definitiva, ha chiarito che tale licenziamento, proprio perché giustificato dal notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, può essere comminato anche se non è espressamente previsto dal Contratto Collettivo nazionale di lavoro.
Il licenziamento per scarso rendimento non può, però, prescindere da una colpa del lavoratore. In altre parole, il datore di lavoro che intenda far valere tale scarso rendimento non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso, ma deve altresì provare che la causa dello scarso rendimento deriva da negligenza nell’espletamento della prestazione lavorativa. Lo scarso rendimento, dunque, deve essere imputabile al lavoratore e non determinato da fattori organizzativi o socio-ambientali dell’impresa stessa. Pertanto, in mancanza di prova di un difetto di attività da parte del lavoratore, il solo dato del mancato raggiungimento degli obiettivi programmati dal datore di lavoro non legittima la risoluzione del rapporto per scarso rendimento (Cass. Sez lav. n. 26676/2017).
Il requisito della negligenza del lavoratore – da provarsi a carico del datore di lavoro – deriva dall’inquadramento sistematico, oggi del tutto prevalente in giurisprudenza, dato al licenziamento per scarso rendimento quale licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
In realtà, fino ad alcuni anni orsono parte della giurisprudenza lo faceva rientrare nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ad esempio Cass. sent. n. 3250/2003), con la conseguenza pratica che il licenziamento poteva essere comminato se, a prescindere dalla colpevolezza del dipendente, vi era una perdita totale dell’interesse del datore di lavoro alla prestazione per lui non più utile in quanto incidente negativamente sul regolare funzionamento della organizzazione aziendale. Secondo tale filone giurisprudenziale le stesse assenze reiterate del lavoratore potevano integrare la fattispecie dello scarso rendimento allorché le stesse, pur se incolpevoli, avessero reso la prestazione non più utile per il datore di lavoro, incidendo negativamente sulla produzione aziendale e sulle esigenze organizzative e funzionali dell’impresa (Cass. n. 18678/2014; Trib. Milano, sez. lavoro, sent. 19.01.2015, n. 1341).
Oggi invece, come detto, la giurisprudenza prevalente considera il licenziamento per scarso rendimento del lavoratore un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore (giustificato motivo soggettivo) che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento prevista dagli artt. 1453 e ss. codice civile. Infatti, nel contratto di lavoro subordinato il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, a meno che non sia imputabile a negligenza del lavoratore. In tale prospettiva la giurisprudenza ha chiarito che il rendimento non costituisce l’oggetto dell’obbligazione contrattuale, ma solo un indice per valutare la violazione dell’obbligazione lavorativa. Dall’inquadramento quale licenziamento per giustificato motivo soggettivo discende, anche, che lo scarso rendimento e la connessa violazione dell’obbligazione principale, al pari di ogni altra violazione del lavoratore, deve essere tempestivamente contestata e che lo stesso, per legittimare la sanzione disciplinare più grave, deve essere di entità tale da non consentire più la prosecuzione del rapporto di lavoro (principio di proporzionalità).
Si precisa infine che, per una simile valutazione, non è rilevante un singolo episodio né lo sono più episodi singolarmente considerati, bensì assume rilievo solo una condotta continuativa tenuta dal lavoratore che provi il colpevole scarso rendimento; pertanto, tale licenziamento va comminato solo dopo un congruo periodo di monitoraggio della condotta del dipendente. Da quanto sopra deriva che va considerata tempestiva anche una contestazione disciplinare che intervenga al termine del periodo di monitoraggio e, quindi, anche dopo diversi mesi dall’inizio della condotta “negligentemente scarsamente produttiva”.
Avv. Stefano Peron