Avv. Cristina Bertoldo
Il caso. Un imprenditore del settore della pelletteria lamentava lo storno di dipendenti strategici ed altamente specializzati ad opera di un concorrente. In particolare, l’imprenditore si doleva del fatto che, attraverso lo sviamento dei lavoratori, il concorrente si era appropriato, praticamente senza sostenere alcun costo ed assumere alcun rischio, dei risultati degli investimenti effettuati nello sviluppo di un processo produttivo innovativo e, correlativamente, nella formazione del personale deputato ad implementarlo.
Il ricorso. Dando forma alle esigenze di tutela dell’imprenditore, il quale riteneva che l’unico rimedio idoneo a ristorare il pregiudizio fosse impedire al concorrente di sfruttare il know how tecnico portato con sé dai dipendenti trasmigrati, veniva predisposto e depositato un ricorso d’urgenza per chiedere l’inibitoria all’utilizzo delle prestazioni dei lavoratori in mansioni uguali o assimilabili a quelle precedentemente svolte.
Il punto sulla giurisprudenza in materia di storno di dipendenti. Il passaggio di collaboratori da un imprenditore ad un concorrente è fisiologica espressione del diritto al lavoro e della libertà di iniziativa economica. Risponde infatti al comune buon senso che un lavoratore possa cambiare datore di lavoro per perseguire un miglioramento professionale e che un imprenditore possa assumere collaboratori che abbiano maturato esperienza presso aziende del settore al fine di organizzare efficacemente la propria. Pertanto, la trasmigrazione di dipendenti da un’azienda ad un’altra non configura mai di per sé un atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c.
Lo storno di dipendenti costituisce un illecito concorrenziale quando si riveli non conforme ai principi della correttezza professionale ed idoneo a danneggiare l’altrui azienda. Sull’interpretazione dell’art. 2598, n. 3, c.c., la Corte di Cassazione è intervenuta più volte a precisare che, affinché l’assunzione di collaboratori altrui integri concorrenza sleale, lo stornante deve agire non soltanto con la consapevolezza dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’imprenditore concorrente, ma altresì con il preciso intento di conseguire tale risultato, c.d. animus nocendi, il quale va ritenuto sussistere ogni qualvolta l’azione di sviamento risulti giustificabile esclusivamente supponendo la volontà dell’agente di danneggiare l’organizzazione imprenditoriale del concorrente. Sul tema dell’animus nocendi nella sottrazione di lavoratori, una sintesi degli approdi giurisprudenziali raggiunti è contenuta nella sentenza della Corte di Cassazione n. 20228 del 04/09/2013, nella quale vengono elencate una serie di circostanze ritenute rivelatrici dell’atteggiamento psicologico di dolo dell’agente, quali “a) la quantità del soggetti stornati, b) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente; c) la posizione che i dipendenti stornati rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la scarsa fungibilità dei dipendenti; e) la rapidità dello storno; f) il parallelismo con l’iniziativa economica del concorrente stornante”. In termini generali, dunque, lo storno di dipendenti integra attività concorrenziale illecita quando venga attuato con modalità che rivelano l’intenzione dello stornante di arrecare pregiudizio al concorrente, mettendone in crisi la continuità aziendale e la capacità competitiva sul mercato.
A maggior ragione, lo storno di dipendenti costituisce sleale concorrenza quando viene attuato al fine di sottrarre segreti o informazioni aziendali riservate in uno con le professionalità che rendono dette nozioni applicabili, così privando il concorrente dei risultati degli investimenti effettuati in ricerca e sviluppo, nonché delle conoscenze acquisite tramite esperienza diretta, il tutto senza costi e senza rischi a carico dello stornante.
La decisione. Il ricorso veniva accolto dal Tribunale di Macerata con decreto inaudita altera parte del 17/07/2018, che veniva confermato all’esito dell’udienza di comparizione delle parti con ordinanza del 30/07/2018. Il provvedimento cautelare veniva reclamato avanti al Collegio, che confermava nuovamente l’inibitoria comminata con ordinanza del 25/10/2018.
I provvedimenti del Tribunale di Macerata si pongono in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, facendosi apprezzare per una precisa e completa indicazione delle circostanze in forza delle quali è stato ritenuto che sia stata posta in essere una sapiente e chirurgica operazione di cherry picking ai danni del ricorrente.
L’ordinanza pronunciata all’esito della fase di reclamo spicca inoltre perché contiene alcune importanti prese di posizione rispetto a questioni ancora dibattute tra gli interpreti.
Una delle suddette questioni concerne la sussistenza del periculum in mora, e conseguentemente la concedibilità di un rimedio cautelare, in ipotesi di assunzioni di dipendenti già concluse. Una parte della giurisprudenza ritiene infatti che, una volta perfezionate le assunzioni dei lavoratori, il pregiudizio sia già concretizzato e, pertanto, non sia più configurabile il presupposto di concessione del provvedimento cautelare rappresentato dal periculum in mora. Il Tribunale di Macerata condivide invece la tesi del ricorrente secondo cui sia assentibile l’inibitoria cautelare anche ad assunzioni avvenute. L’art. 2599 c.c. dispone infatti che, laddove venga accertata sleale concorrenza, l’organo giurisdizionale debba inibirne la continuazione e dare gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti, di talché è evidente che siffatta tutela debba poter essere anticipata in fase cautelare e che sussista il requisito del periculum in mora con riferimento agli effetti di assunzioni già perfezionate. Inoltre, è doveroso tenere in debita considerazione il fatto che l’inibitoria cautelare rappresenta praticamente l’unico rimedio idoneo per una fattispecie come quella dello storno di dipendenti in cui il danno, tipicamente rappresentato dalla perdita di posizioni di mercato, è frequentemente irreversibile e difficilmente monetizzabile.
L’ordinanza in argomento affronta anche l’annoso conflitto in merito al bilanciamento tra libertà di iniziativa economica e diritto al lavoro, rigettando anche sotto questo profilo quelle teorie che escludono la concedibilità dell’inibitoria ad assunzioni già perfezionate, questa volta in ragione del danno che subirebbe il lavoratore dalla limitazione delle proprie mansioni e potenzialità. Il fatto che un provvedimento giurisdizionale diretto ad inibire una condotta illecita possa ledere diritti di terzi – e impregiudicata ogni verifica sull’eventuale concorso dei terzi nella condotta medesima – non ne può precludere la emanazione, essendo l’autore della condotta illecita l’unico soggetto tenuto a farsi carico delle conseguenze pregiudizievoli subite da terzi. In altre parole, chi compie lo storno dovrà risponderne nei confronti non solo dell’imprenditore colpito, ma anche dei dipendenti contesi.
Il Tribunale di Macerata si sofferma inoltre sulla tematica dell’estensione dell’inibitoria, anche qui prendendo posizione contro coloro che ritengono che non sia possibile inibire lo svolgimento di prestazioni lavorative, perché ciò violerebbe il diritto al lavoro di soggetti estranei al giudizio. Viene dunque riconosciuta l’inammissibilità di un provvedimento inibitorio generico concernente ogni mansione dei dipendenti trasmigrati per confermare la correttezza del provvedimento che invece ponga il divieto di adibire tali lavoratori a mansioni identiche o equivalenti a quelle svolte presso l’impresa vittima dello storno illecito. L’inibitoria deve infatti essere rivolta a colpire i profili di illiceità della condotta di sottrazione dei dipendenti e, quindi, ad impedire che lo stornante possa profittare dell’azione di sviamento per attuare la concorrenza parassitaria ed appropriarsi dei valori aziendali dell’impresa danneggiata.
Da ultimo, l’ordinanza cautelare offre risposta al quesito relativo alla durata dell’inibitoria, questione ampiamente controversa in dottrina e giurisprudenza, non essendo de iure condito presente nel nostro ordinamento alcuna norma che preveda un termine massimo del divieto e non constando – almeno fino alla pronuncia qui esaminata – provvedimenti giurisdizionali che stabiliscano un criterio temporale agganciato a parametri oggettivi. Il Tribunale di Macerata decide di specchiare la durata del comando giudiziale col periodo di tempo che sarebbe stato necessario allo stornante per sviluppare autonomamente il know how sottratto tramite i dipendenti, nonché per formare questi ultimi compiutamente, comunque non inferiore ad anni due.
Conclusioni. L’ordinanza del Tribunale di Macerata del 25/10/2018 è degna di nota per giuristi ed imprenditori. Per quanto riguarda i tecnici del diritto, si tratta di un sintetico trattato in materia di concorrenza sleale attuata mediante storno di dipendenti, che contiene risposte sapientemente argomentate a questioni oggetto di dibattito giuridico. Per quanto riguarda gli operatori del mercato, si tratta di un precedente molto importante per coloro che investono in innovazione e formazione, che possono sentirsi maggiormente motivati ad assumere rischi e sostenere costi in questi ambiti, sapendo che verranno tutelati nei confronti dei concorrenti che volessero appropriarsi dei risultati raggiunti in maniera illecita.
Avv. Cristina Bertoldo