Avv. Marta Grazioli
Oggigiorno quante volte si vede uno sportivo e – più in particolare – un calciatore, come volto di campagne pubblicitarie dei più svariati prodotti? Ricorderemo tutti la celebre pubblicità di Del Piero con l’uccellino per l’acqua di Uliveto; o il famosissimo “do you Ringo?” di Kakà; ma ancora, la simpatia di Totti sfruttata per lo spot della Pepsi al limone; per non parlare delle pubblicità più recenti in cui figurano Pirlo, quale testimonial della linea Fructis di Garnier, o Buffon che, con la maglia della Nazionale, sconfigge la forfora grazie allo shampoo Classic Clean di Head&Shoulders… Chi più ne ha più ne metta!
È indiscusso che il volto del calciatore sia gradualmente diventato centrale nel mondo delle sponsorizzazioni poiché, attraverso la propria immagine, è tra i veicoli più sfruttati per la promozione pubblicitaria di prodotti e servizi, qualunque essi siano. Infatti, soprattutto nel nostro Paese in cui il fenomeno calcistico ha un’importanza decisamente predominante rispetto ad altri sport ma – soprattutto – un’incidenza che potremmo definire ormai “culturale”, il calciatore di serie A è chiamato come testimonial, al punto che risulta impossibile non vederne almeno uno al giorno figurante qualche spot pubblicitario in televisione, sui social network, in manifesti, giornali e riviste…
Resta il fatto che sotto un profilo squisitamente giuridico, anche il calciatore è prima di tutto una persona e come tale gode di un diritto all’immagine severamente tutelato nel nostro ordinamento. Di seguito si cercherà di chiarire come Legislatore e Giurisprudenza abbiano coordinato, da un lato, il diritto all’immagine del calciatore – in quanto personaggio pubblico – con queste esigenze pubblicitarie e, dall’altro, sotto un profilo più giuslavorista, come il calciatore ma anche la società, possa sfruttare commercialmente l’immagine “in divisa” del professionista, vale a dire nella sua veste di giocatore a livello agonistico.
Nell’ordinamento italiano il diritto all’immagine rientra nel novero dei diritti della personalità, poiché rappresenta un’espressione del diritto alla riservatezza, e come tale è diretto a proteggere la sfera più intima e quindi la privacy di una persona. Il diritto all’immagine è pertanto il diritto di ogni persona a non vedere la propria immagine divulgata, esposta o comunque pubblicata senza il proprio consenso e comunque fuori dai casi previsti dalla legge. Nello specifico, il diritto all’immagine è tutelato nel nostro ordinamento da diverse fonti: gli artt. 96 e 97 L. 22/04/1941 n. 633 (Diritto d’Autore), che regolano i casi in cui è possibile riprodurre e sfruttare economicamente il diritto all’immagine altrui; nonché gli artt. 7, 10 c.c.[1]
Va sottolineato che, in forza della predetta normativa, il diritto all’immagine non può essere ceduto, in quanto personalissimo e quindi inalienabile, ma può esserlo solo l’esercizio dello stesso e quindi la sua riproduzione.
Si noti per esempio che, nella particolare ipotesi del ritratto di persona nota, la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato, è lecita soltanto laddove risponda ad esigenze di pubblica informazione e non anche, pertanto, ove sia rivolta a fini pubblicitari.
Per quanto attiene alla tutela dell’immagine dello sportivo, la stessa si è evoluta nel tempo fino a proteggere non più solamente l’immagine dell’atleta ma qualsiasi rappresentazione video e fotografica del soggetto e, addirittura, qualsiasi immagine evocativa dello stesso.
E’ opinione ormai da tempo consolidata nella giurisprudenza che la tutela dell’immagine della persona fisica possa estendersi fino a ricomprendere anche elementi non direttamente riferibili alla persona stessa, quali l’abbigliamento, ornamenti, trucco ed altro, che, per la loro peculiarità, richiamino in via immediata nella percezione dello spettatore proprio quel personaggio al quale tali elementi siano ormai indissolubilmente collegati[2].
Infatti fino ad un certo livello di notorietà, lo sponsor utilizza l’immagine dell’atleta connessa alla sua specifica attività sportiva; ci sono poi casi in cui il livello di notorietà è talmente elevato che lo sponsor utilizza l’immagine dell’atleta separando quest’ultimo dalla sua attività agonistica, e sfruttandone semplicemente la riconoscibilità.
La giurisprudenza ha più volte sottolineato come il consenso dell’atleta sia condizione giuridica indispensabile affinché la sua immagine possa essere sfruttata commercialmente. Infatti, la commercializzazione di prodotti di merchandising riproducenti (o evocanti) l’immagine di un calciatore “eccede obbiettivamente lo scopo documentaristico e informativo e la cui riproduzione non può dunque essere ritenuta ammissibile senza il preventivo consenso del soggetto ivi raffigurato”[3].
Nel corso degli anni vi sono stati numerosi casi di abuso dell’immagine di atleti e calciatori.
Un caso noto è stato quello che ha visto come protagonista il calciatore dell’A.C. Milan Andriy Shevchenko, il quale nel 2005 ha lamentato la lesione della propria immagine in quanto veniva riutilizzato in Italia un servizio fotografico autorizzato e pubblicato su una rivista straniera. I giudici italiani statuirono che la diffusione precedente del servizio non fosse di per sé idonea ad un’arbitraria ed autonoma pubblicazione successiva nel nostro paese, pertanto, nel caso di specie, si ravvisava una carenza del consenso nel riutilizzo del servizio.
Altro caso interessante è quello che ha coinvolto il calciatore argentino Diego Armando Maradona, il quale è stato protagonista di una recente pronuncia del Tribunale di Napoli[4]. Il Calciatore si è ritenuto danneggiato nel suo diritto all’immagine in quanto la Società Sportiva Calcio Napoli aveva messo in commercio un DVD dal titolo “Diego Armando Maradona El Pibe de oro vs Edinson Cavani El Matador” contenente immagini del calciatore all’epoca in cui era titolare nella squadra partenopea.
I giudici hanno stabilito che: “una società calcistica professionistica non può liberamente utilizzare le immagini dell’attività agonistica svolta da un calciatore – ai tempi in cui militava in quella squadra – senza il consenso dello stesso giocatore, per realizzare un dvd avente una finalità prettamente commerciale e lucrativa”. Alla luce della pronuncia in questione si evince che, nel riprodurre le immagini di Maradona in un DVD, la società sportiva non ha risposto ad una logica di “informazione”e che potesse pertanto permettere la diffusione legittima delle immagini del Pibe de oro anche senza il suo consenso.
Da questa stessa pronuncia si apre la seconda tematica che si vuole approfondire, infatti si deduce che l’art. 3 della legge 81/91, nel disciplinare la prestazione sportiva dell’atleta, non autorizza allo stesso tempo la società a sfruttare anche l’immagine dello stesso in virtù del solo contratto di lavoro. Ciò in quanto secondo i giudici: “l’immagine della prestazione di lavoro è cosa diversa dalla prestazione stessa”.
Quest’ultimo punto merita un approfondimento: è opportuno, innanzitutto, sottolineare che vi è una netta distinzione tra la prestazione sportiva, oggetto del contratto di lavoro subordinato, e l’immagine dell’atleta che esegue la prestazione sportiva. Infatti, quando un calciatore stipula un contratto di lavoro sportivo, ai sensi della legge 91/81, cede alla società i diritti relativi alle sue prestazioni sportive ma non i diritti di immagine. Da ciò consegue che la società, in veste di datore di lavoro, al fine di poter utilizzare le immagini relative alle prestazioni sportive di ciascun atleta avrà necessariamente bisogno del previo consenso dell’interessato. A tal proposito sono stati conclusi specifici accordi, sottoscritti anche ai sensi dell’art. 4, della l. 91 del 1981, volti a regolamentare l’impiego negoziale dell’immagine dei singoli atleti.
Nel corso degli anni, la Lega delle società calcistiche professioniste e l’Associazione sindacale dei calciatori si sono accordate al fine di armonizzare i reciproci interessi: l’autonomia contrattuale dei singoli atleti, da una parte e, dall’altra, gli interessi delle Società a disporre a scopo di lucro dell’immagine della squadra. La Convenzione, stipulata fra la F.I.G.C., le Leghe e l’A.I.C. il 23 luglio 1981, e successivamente modificata il 18 giugno 1984 ed il 27 luglio 1987, ha come oggetto la regolamentazione degli accordi concernenti le attività promozionali e pubblicitarie che interessano le società calcistiche professionistiche ed i calciatori loro tesserati.
L’articolo 1 della Convenzione stipulata nel 1981 fra la FIGC, l’Associazione calciatori e le Leghe afferma che “[…] i calciatori hanno la facoltà di utilizzare in qualsiasi forma lecita e decorosa la propria immagine anche a scopo di lucro, purché non associata a nomi, colori, maglie, simboli o contrassegni della Società di appartenenza o di altre Società e purché non in occasione di attività ufficiale […]”.
Ne deriva che il calciatore è titolare esclusivo dei diritti alla propria immagine, ma solo quella in “borghese”! Per lo sfruttamento della propria immagine in “divisa”, connotata pertanto da rappresentazione associata a colori, simboli e nomi della società di appartenenza o di altre società appartenenti alla Lega Nazionale Professionisti, sarà necessario che la società presti il proprio consenso.
Dall’altra parte, tuttavia, la sola immagine di cui può disporre la società, anche in assenza di accordo, è l’immagine della squadra. Pertanto, la società potrà consentire ai propri sponsor l’utilizzo delle foto dei giocatori purché siano: (i) foto “di gruppo”, ritraenti almeno 11 componenti della rosa; (ii) in divisa; (iii) per soli fini pubblicitari/promozionali della propria qualità di sponsor del club. La società, pertanto, non può utilizzare l’immagine individuale dei singoli calciatori, senza il loro consenso, per iniziative promo-pubblicitarie ulteriori rispetto a quelle previste dalla Convenzione.
A tal proposito si sono sviluppate diverse prassi, che hanno consentito uno strappo alla regola sopra enunciata… Per esempio, ora si consente pacificamente alla società di utilizzare a fini pubblicitari l’immagine di almeno quattro giocatori insieme e in divisa.
Nell’accingersi a concludere la disamina, un caso particolare attiene ai cosiddetti “prodotti collettivi”, ossia i prodotti oggetto di raccolta o collezione, tra i quali i famosi album di figurine.
Originariamente, infatti, si attribuiva alle figurine un valore informativo, si considerava, infatti, che l’album contenesse informazioni e statistiche riguardanti la carriera dei giocatori e che ciò legittimasse quindi l’uso delle raffigurazioni degli atleti senza rendere necessario il loro consenso.
Oggi la posizione predominante tende a considerare invece prevalente lo scopo di lucro. A tal riguardo la Convenzione tra Lega serie A e l’Associazione Italia Calciatori (“AIC”) del 2012 ha previsto che l’AIC, senza il previo consenso del calciatore, possa disporre dei diritti all’utilizzo dell’immagine del medesimo secondo le previsioni del richiamato art. 26 dello Statuto AIC. Pertanto non è necessario il consenso del calciatore per la riproduzione della sua immagine nell’album di figurine, in quanto[1] “L’iscrizione all’AIC comporta peraltro l’automatica concessione a quest’ultima dei diritti all’uso esclusivo del ritratto, del nome e dello pseudonimo degli associati in relazione all’attività professionale svolta dai medesimi ed alla realizzazione, commercializzazione e promozione di prodotti oggetto di raccolte o collezioni o comunque di prodotti che, per le loro caratteristiche, rendano necessaria l’utilizzazione dell’immagine, nome o pseudonimo di più calciatori e/o squadre”.
Avv. Marta Grazioli
[1] Art. 96 L. 22/04/1941 n. 633
Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente.
Art. 97 L. 22/04/1941 n. 633
Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Art. 7 c.c. (Tutela del diritto al nome)
La persona che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente faccia del proprio nome può chiederne giudizialmente la cessazione, salvo il risarcimento del danno.
Art. 10 c.c. (Abuso dell’immagine altrui)
Qualora l’immagine di una persona […] sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita […] l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.
[2] Cassazione civile sentenza n. 2223 del 1997; Tribunale di Milano sentenza n. 1699 del 2015.
[3] Tribunale di Milano, sentenza n. 1699/2015 del 09/02/2015.
[4] Tribunale di Napoli, ordinanza del 30/07/2013.