Generalmente si ritiene che tutto ciò che è liberamente visibile (pubbliche piazze, palazzi, monumenti ecc.) sia anche liberamente fotografabile e riproducibile. Questa facoltà è nota al diritto come “libertà di panorama”, che permette a ciascuno di immortalare e riprodurre liberamente e lecitamente spazi ed edifici pubblici, tanto per fini personali quanto commerciali. In effetti, si è abituati a vedere l’immagine di monumenti (uno tra tutti, il Colosseo..), beni museali, ville palladiane e quant’altro, nelle inserzioni pubblicitarie, negli spot televisivi e nei prodotti di merchandising. È bene chiedersi se il predetto utilizzo commerciale dell’immagine di beni culturali sia lecito e, nella positiva, in che termini.
Il nostro ordinamento non disciplina espressamente la predetta libertà, ma uno spunto viene fornito dalla normativa contenuta nel Codice dei beni culturali (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) il quale prevede, all’art. 107, che “Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni di cui al comma 2 e quelle in materia di diritto d’ autore” e, successivamente, all’art. 108 del medesimo testo normativo che “I canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto:
- a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso;
- b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
- c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
- d) dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.
- I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata.
- Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’amministrazione concedente.
3-bis. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità ai sensi del capo III del presente titolo, attuata nel rispetto delle disposizioni che tutelano il diritto di autore e con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né all’interno degli istituti della cultura, l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a scopo di lucro.
- Nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio ai beni culturali, l’autorità che ha in consegna i beni determina l’importo della cauzione, costituita anche mediante fideiussione bancaria o assicurativa. Per gli stessi motivi, la cauzione è dovuta anche nei casi di esenzione dal pagamento dei canoni e corrispettivi.
- La cauzione è restituita quando sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state rimborsate.
- Gli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per l’uso e la riproduzione dei beni sono fissati con provvedimento dell’amministrazione concedente”.
Dalla lettura dei citati articoli si deduce che, quantomeno in relazione ai “beni culturali” appartenenti a soggetti pubblici, il nostro ordinamento non riconosce una generale “libertà di panorama”, posto che per la riproduzione dell’immagine di detti beni occorre l’autorizzazione da parte dell’amministrazione che ha in gestione il bene ed il pagamento anticipato dei canoni di concessione e dei corrispettivi connessi alle riproduzioni, determinati dall’autorità che ha in consegna i beni, mentre nessun canone è dovuto nei soli casi di riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio.
La disciplina legata alla riproduzione dell’immagine dei beni culturali pare poi applicarsi indistintamente tanto ai beni che si trovano in un contesto “chiuso” (es. affreschi), quanto a quelli esposti alla pubblica vista. La portata di questa mancata distinzione è notevole perché nell’elenco dei beni culturali rientrano anche ville ed altri spazi aperti urbani di interesse artistico la cui immagine, dunque, non risulta liberamente riproducibile.
Per questi motivi il Comune di Roma prevede che “per effettuare riprese fotografiche o video nel territorio comunale, se non per uso personale, bisogna richiedere un’autorizzazione (almeno 20 giorni prima dell’inizio delle riprese) al Servizio Autorizzazioni Riprese Cinematografiche e Fotografiche di Roma Capitale”.
In tal contesto è comunque opportuno sottolineare che la tutela prevista dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 è di tipo amministrativo e non statuisce sanzioni per il mancato rispetto delle citate disposizioni.
Occorre pertanto vagliare se, nel nostro ordinamento, è contemplata una tutela civilistica – fondata sulle norme sopra richiamate del Codice dei Beni Culturali – che consenta al proprietario di un bene culturale privato, la cui immagine viene sfruttata senza autorizzazione, di ottenere un risarcimento pecuniario.
Il tema è stato recentemente trattato, con esito positivo, dalla giurisprudenza di merito, in particolare dalla sentenza del Tribunale di Palermo del 21 settembre 2017 e dall’ordinanza del Tribunale di Firenze del 23 novembre 2017.
Precisamente, la decisione palermitana trae origine dalla domanda risarcitoria proposta dalla Fondazione Teatro Massimo (consegnataria del bene culturale) nei confronti di un istituto bancario, per avere questo realizzato una campagna pubblicitaria con affissioni riproducenti l’immagine del Teatro Massimo di Palermo. Il Tribunale ha concluso per l’illegittimità del predetto utilizzo non autorizzato, accogliendo parzialmente la domanda risarcitoria di pagamento dei canoni di riproduzione dovuti nei confronti della Fondazione Teatro Massimo.
Il secondo provvedimento è un’ordinanza cautelare del Tribunale di Firenze che ha inibito a un’agenzia di viaggi, su istanza del Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo, l’utilizzo pubblicitario non autorizzato dell’immagine fotografica della Galleria dell’Accademia di Firenze e del David di Michelangelo, ordinando il ritiro e la distruzione del relativo materiale pubblicitario in circolazione.
Entrambe le citate decisioni si basano sugli artt. 107-108 del Codice dei Beni Culturali che, come ampiamente detto, riservano all’autorità che ha in consegna il bene culturale il diritto di consentirne la riproduzione, previa richiesta di concessione e pagamento del canone fissato dall’autorità medesima. Conseguentemente i Giudici hanno riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nei confronti del consegnatario del bene, da parte di chi ne abbia sfruttato illecitamente l’immagine.
Tanto rilevato, occorre infine notare come il Codice dei Beni culturali parli di autorizzazione da parte dell’autorità pubblica che ha in gestione il bene, così non trattando esplicitamente i casi riferiti allo sfruttamento dell’immagine di beni culturali di proprietà privata (come nel caso di ville di interesse culturale).
In tal contesto, tuttavia, lo scrivente ritiene ragionevole una applicazione analogica delle predette norme, così da estendere la spiegata tutela anche ai beni di proprietà privata di interesse culturale. Il richiamo è all’art. 12 della Preleggi, che dispone (secondo comma) che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si abbia riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. L’applicazione analogica delle norme del Codice dei Beni culturali pubblici ai beni culturali privati risulta condivisibile anche alla luce del richiamo all’art. 42 della Costituzione, che impone di riconoscere e garantire la proprietà privata. In questo senso una disparità di trattamento tra beni culturali pubblici e beni culturali privati non troverebbe una giustificazione plausibile.
Tale opinione trova una conferma nella decisione della Corte di Cassazione (sent. 11-08-2009, n. 18218), che ha riconosciuto addirittura ai proprietari di una nota barca a vela (quindi di un bene “non culturale”) il diritto al risarcimento del danno per il non autorizzato sfruttamento (da parte di terzi) dell’immagine di detto bene non culturale a fini commerciali (l’immagine era stata impressa su un calendario “L’illecito fatto valere nei confronti delle societa’ Fedrigoni per aver riprodotto nel proprio calendario l’immagine della barca attiene sia all’utilizzazione dell’immagine in se’, sia alla riproduzione del nome “(OMISSIS)”, particolarmente in vista nella fotografia, sia alla circostanza di aver inserito sulle vele dell’imbarcazione il proprio marchio, senza aver ottenuto il consenso degli aventi diritto”).
Quindi, conclusivamente, se è possibile configurare, nel nostro ordinamento, un diritto del proprietario di beni non culturali a vietare usi commerciali non autorizzati dell’immagine di propri beni, anche se visibili dagli spazi pubblici, a maggior ragione sarà possibile farlo per beni privati culturali, per cui tale principio è già dettato qualora si tratti di un bene culturale pubblico.
Avv. Laura Tessari