- L’approvazione della Direttiva europea.
È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 5 marzo 2024 la Direttiva UE 2024/825 del 28 febbraio 2024 sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche commerciali sleali e dalle informazioni non veritiere (c.d. greenwashing).
La nuova Direttiva, che riformula la precedente Direttiva UE 2005/29/CE sulla tutela dei consumatori, si pone l’obiettivo di incrementare le tutele in favore dei consumatori, vietando ab origine tutte quelle pratiche commerciali che risultano contrarie alla diligenza professionale, nonché false o idonee a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio, distinguendo, all’interno delle c.d. pratiche commerciali scorrette, le ormai note categorie delle pratiche c.d. “ingannevoli” e delle pratiche c.d. “aggressive”.
Con specifico riguardo alle prime, ad esempio, è stata espressamente inserita all’art. 6 della Direttiva 2005/29/CE, quale pratica ingannevole, “la formulazione di un’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future senza includere impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili stabiliti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise come pure altri elementi pertinenti necessari per sostenerne l’attuazione, come l’assegnazione delle risorse, e che sia verificato periodicamente da un terzo indipendente, le cui conclusioni sono messe a disposizione dei consumatori”. Nella c.d. black list delle pratiche commerciali in sé considerate ingannevoli, la Direttiva è inoltre intervenuta aggiungendo, per esempio, l’esibizione di un marchio di sostenibilità non basato su un sistema di certificazione, la formulazione di un’asserzione ambientale generica per cui l’operatore economico non sia in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali vantate, ovvero la presentazione di requisiti imposti per legge quali tratti distintivi dell’offerta dell’operatore economico. Tale inclusione, peraltro, ha effetti pratici non indifferenti da un punto di vista sanzionatorio, essendo possibile – a fronte di tali pratiche commerciali presuntivamente scorrette – l’irrogazione (ad opera delle Autorità competenti e quindi, in Italia, dell’AGCM) di sanzioni pecuniarie per importi compresi tra 5.000 e 10.000 euro, nonché, in caso di violazioni di rilevanza comunitaria, di sanzioni per un importo pari fino al 4% del fatturato annuo.
Appare, quindi, di tutta evidenza che le prime ricadute di tale nuova disciplina – alla quale le imprese saranno tenute ad attenersi a partire dal 27 settembre 2026 – si manifesteranno anzitutto nei settori del diritto della concorrenza e del diritto civile. E, tuttavia, non sono da sottovalutare i rilevanti profili di contatto anche con l’ordinamento penale, anche (e soprattutto) in relazione alla responsabilità da reato degli enti ex D.Lgs. 231/2001, le cui sanzioni possono determinare pregiudizi invalidanti per il proseguimento dell’attività d’impresa.
- Le ricadute penali.
Le scelte di marketing e di comunicazione aziendale, dunque, dovranno sin da subito tenere in debita considerazione le ricadute anche all’interno dell’ordinamento penale.
È ancora viva, per il vero, l’impressione di quanto avvenuto con la vicenda c.d. “Ferragni-Balocco”, nella quale la scelta di legare la propria attività ad una “buona causa” sociale, senza un’attenta analisi e valutazione dei rischi, ha finito per produrre, oltre a rilevanti danni di immagine, anche l’instaurazione di un procedimento penale nell’ambito del quale le persone coinvolte saranno eventualmente chiamate a rispondere – come si apprende dagli organi di stampa – del reato di truffa aggravata dalla c.d. “minorata difesa” in cui versa il consumatore, ex art. 640, co. 2, n. 2 bis, c.p.
Da oggi, con la pubblicazione della Direttiva europea sul c.d. greenwashing, l’attenzione dovrà rivolgersi anche al settore ambientale e, segnatamente, alla comunicazione al pubblico di tutte le iniziative di sostenibilità ambientale della propria attività (si guardi, a titolo di esempio, alle novità per le imprese in tema di etichettatura con richiami alla preservazione dell’ambiente e alla sostenibilità).
Del tutto plausibile, dunque, che tali iniziative imprenditoriali finiranno sempre di più al vaglio anche dell’Autorità giudiziaria penale, con il rischio di dover affrontare conseguenze anche in tale sede.
Le fattispecie penali astrattamente configurabili sono diverse, ma, con ogni probabilità, a dover essere monitorate ed attenzionate saranno quelle di frode nell’esercizio del commercio, di cui all’art. 515 c.p., e di truffa, ex art. 640 c.p., probabilmente nella maggior parte dei casi con la contestazione dell’aggravante della minorata difesa del consumatore (art. 640, co. 2, n. 2 bis, c.p.).
Il reato di frode nell’esercizio del commercio, punito (qualora il fatto non costituisca più grave delitto) con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a 2.065 euro, sanziona la condotta di chi “nell’esercizio di una attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita”.
Ne consegue, ad ogni evidenza, che una pratica di pubblicità ingannevole, che dovesse rappresentare determinate caratteristiche di sostenibilità ambientale di un prodotto in realtà inesistenti o non rappresentate correttamente, certamente sarebbe ascrivibile al perimetro di rilevanza penale del delitto di cui all’art. 515 c.p., incidendo sulla sensibilità e sulla percezione del consumatore ed inducendolo a preferire quel prodotto rispetto ad un altro.
Più agevole, invece, la comprensione della rilevanza del reato di truffa per le questioni di cui si tratta: all’interno di tale fattispecie, infatti, potrebbe essere ricompresa qualsiasi comunicazione commerciale che, con artifizi e raggiri, induca in errore il consumatore nel ritenere sussistenti determinate caratteristiche di sostenibilità ambientale del prodotto (in realtà inesistenti o non correttamente rappresentate), con ciò determinando un ingiusto profitto per l’autore della comunicazione ed un contestuale danno al consumatore.
La giurisprudenza della Corte di cassazione, peraltro, è ormai pacifica nel ritenere applicabile, all’interno di vicende commerciali che coinvolgano il consumatore, anche l’aggravante della c.d. “minorata difesa”, di cui all’art. 61, co. 1, n. 5, c.p., peraltro richiamata anche nella stessa fattispecie di truffa aggravata di cui all’art. 640, co. 2, n. 2 bis, c.p. Tale circostanza aggravante sussiste nelle ipotesi in cui la condotta sia stata posta in essere approfittando delle “circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”; anche in relazione alle specifiche ipotesi di rapporti commerciali sviluppatisi – integralmente o anche solo inizialmente – tramite piattaforme e/o strumenti informatici, peraltro, la giurisprudenza di legittimità è ormai pacifica nel ritenere applicabile l’aggravante in questione.
Le conseguenze di tale orientamento sono tutt’altro che irrilevanti per le imprese: a fronte della contestazione dell’aggravante menzionata, infatti, il reato sarà procedibile d’ufficio, con la conseguenza pratica che l’instaurazione di un eventuale procedimento penale non sarà subordinata alla presentazione di una querela e potrà prendere l’abbrivio autonomamente.
- La responsabilità dell’impresa ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Risulta utile solamente accennare al fatto che, come noto, il reato di frode nell’esercizio del commercio, di cui all’art. 515 c.p., è ricompreso all’interno del catalogo dei c.d. “reati presupposto” per la responsabilità amministrativa dipendente da reato degli enti.
Pertanto, di fronte ad un addebito di tale fattispecie delittuosa in capo alla persona fisica, ben sarebbe ipotizzabile anche una contestazione alla persona giuridica, con pregiudizi rilevanti di cui è necessario tenere conto: non solo, infatti, lo spettro delle sanzioni potenzialmente comminabili, tra le quali quella dell’interdizione dall’esercizio della propria attività (la drammaticità della quale è facilmente intuibile), ma anche il danno reputazionale e di immagine derivante dal solo coinvolgimento della società nel procedimento penale.
- Conclusioni.
Quanto brevemente esposto, dunque, evidenzia, da una parte, l’attenzione sempre maggiore che il legislatore (sia esso nazionale o comunitario) pone sulla correttezza dell’attività di comunicazione commerciale delle imprese e sulla tutela del consumatore e, dall’altra parte, l’impellente necessità per le imprese di conoscere approfonditamente la disciplina, anche penale, al fine di potersi correttamente ad essa adeguare, scongiurando conseguenze dannose.
Sul contesto così delineato, infine, si affaccia con relativa rilevanza anche la questione del c.d. influencer marketing, ormai sempre più utilizzato quale sistema di pubblicità commerciale e che, va da sé, necessita di adeguarsi alle considerazioni sopra articolate.
Alessio Meca