Nel contesto dei passaggi generazionali (nelle società a ristretta base partecipativa o a gestione famigliare) si assiste a conflittualità attuali o potenziali connesse principalmente alla modifica della governance aziendale.
La sostituzione o affiancamento negli assetti societari di persone legate verosimilmente da vincoli fiduciari e parentali radicati nel tempo (“Soci Storici”) con altri soggetti (“Nuovi Soci”), non necessariamente loro parenti in linea retta, comporta che spesso i Nuovi Soci vogliano dare una nuova impronta alla gestione ed organizzazione della società, senza conoscere e comprendere approfonditamente gli equilibri storicizzati dei modelli organizzativi e di gestione concretamente applicati all’interno di una società.
La prevenzione o la limitazione dei conflitti derivanti dal passaggio generazionale presuppone la corretta individuazione di quali siano le effettive esigenze di tutela minima che si intenderebbero conseguire, non solo nella dialettica che andrà a formarsi con i Nuovi Soci, bensì anche in relazione alla concreta gestione della società e ai suoi sviluppi futuri.
Il caso più frequente presenta Soci Storici paritari (che partecipano in misure uguali al capitale sociale) che costituiscono anche l’organo amministrativo della società e che, presumibilmente, hanno sempre assimilato (sotto il profilo psicologico) la loro qualifica di socio all’espressione del potere di governare la società, benché viceversa, in un’ottica più strettamente capitalistica la partecipazione ad una società costituisca prima di tutto un investimento (in capitale di rischio) e, solo eventualmente, comprenda un oggetto (mediato) da amministrare (ossia la società delle cui partecipazioni si tratta).
Distribuzione degli utili
In estrema sintesi, ritengo che nel passaggio generazionale debba porsi attenzione ad una garanzia di continuità evolutiva della prassi precedente in uso nella società, di regola quantomeno con riferimento ai diritti patrimoniali derivanti dalle partecipazioni. Tale prassi si dovrebbe tradurre in una politica sociale che preveda la garanzia di distribuzione di una certa quota degli utili effettivamente conseguiti in ciascun esercizio (in continuità con quanto fatto in passato o liberando riserve distribuibili a tal uopo accumulate nel tempo).
Si tratta, nella sostanza, di introdurre una clausola statutaria (o stipulare un patto parasociale) che stabilisca l’obbligo dei soci di distribuire dividendi (e correlatamente il diritto dei soci alla percezione di certi utili) salvo che l’unanimità dei soci oppure una loro maggioranza rafforzata decida il contrario.
Tale clausola assiste un’ottica prudenziale e, quindi, di mantenimento di una certa quantità di risorse all’interno dell’azienda con finalità di investimento; già di per sé sola tale previsione statutaria va ad assolvere contemporaneamente a due finalità, ossia quella di garantire i soci che non partecipano all’amministrazione (verosimilmente i Soci Storici) di avere una visione stabile e positiva del loro investimento e per quelli che invece partecipano anche all’amministrazione (presumibilmente i Nuovi Soci) di poter contare su una certa quantità di riserve, implicitamente già autorizzata dagli altri soci, da destinarsi alla conservazione e allo sviluppo del business aziendale.
Compensi amministratori
Unitamente a tale previsione, altra pattuizione (sempre di garanzia per i soci che non partecipano all’amministrazione) è costituita dalla predeterminazione di un limite massimo alla determinazione dei compensi annui degli amministratori (se del caso anche agganciato ai risultati dell’esercizio), ivi inclusi quelli investiti di particolari cariche, stabilendo altresì che detto limite possa essere superato esclusivamente con un consenso rafforzato dei soci (o comunque della maggioranza di quelli che non partecipano all’amministrazione).
Adottando tale impostazione si perviene indirettamente al risultato di sensibilizzare l’organo amministrativo in carica ad una sana e prudente gestione, potendo i soci estranei alla gestione così confidare in scelte aziendali (non solo rispettose della business judgment rule, ma anche) maggiormente oculate e quindi essere in una condizione di minor apprensione (anche psicologica) nel controllo quotidiano.
Co-vendita, trascinamento, opzioni call e put
Accanto a tali pattuizioni, ve ne possono introdursi altre di buona fede e che, normalmente, prevedono diritti / obblighi di co-vendita o trascinamento delle partecipazioni qualora investitori estranei alla compagine sociale dovessero proporsi di comprare le partecipazioni di uno dei soci a condizioni economiche particolarmente favorevoli. In disparte le formulazioni standardizzate, è possibile costruire soglie / eventi condizionanti / altre prestazioni accessorie ad integrazione di tali clausole, di modo da rendere di effettivo interesse la loro stipulazione.
Analogamente, è possibile prevedere (soprattutto laddove vi siano o si possano formare raggruppamenti di soci con visioni differenti) che agli uni o agli altri siano attribuiti diritti di opzione per l’acquisto / vendita delle partecipazioni (o di una porzione di esse) sempre al verificarsi di obiettivi / eventi legati all’andamento della società ed alla sua situazione contabile.
Quorum deliberativi rafforzati
Altro tema riguarda la individuazione di alcune aree di gestione, quali ad esempio in materia di rapporti di lavoro e di politiche di investimento fuori dal normale corso del business, per le quali è possibile introdurre previsioni statutarie che contemplino la necessità di un quorum deliberativo rafforzato (o di classi di azioni o quote, a secondo dal tipo giuridico di società), in modo da evitare o limitare alterazioni significative della struttura e/o del business senza un consenso dei soci che non partecipano alla gestione.
Strumenti di casting vote
Da ultimo, segnalo un accorgimento significativo e di taglio pratico che già di per sé permetterebbe in certa misura di gestire le tematiche di cui sopra e/o di valorizzarle.
Si tratta dell’ipotesi in cui tutti i Soci Storici (prima di far subentrare i Nuovi Soci o farsi affiancare da loro) cedano una parte delle loro partecipazioni per formare una nuova quota – anche esigua come, ad esempio, l’1% (uno percento) del capitale sociale – da trasferirsi ad una società di nuova costituzione (in cui dovrebbero essere presenti i Soci Storici e non i Nuovi Soci), amministrata da un soggetto terzo (il quale dovrebbe, per ragioni tecnico-giuridiche, essere anch’egli socio anche se in risicatissima misura) che potrebbe essere revocato dall’amministrazione solo con il consenso di tutti gli altri soci.
Il voto portato dal titolare di tale quota (anche l’1%) permetterebbe – con opportune previsioni statutarie – di fare da “ago della bilancia” nei casi di stallo decisionale (cd “casting vote”) oppure potrebbe beneficiare dell’attribuzione di alcuni diritti di veto al compimento di determinate operazioni societarie, qualora esse non siano decise con maggioranze rafforzate.
Tale società potrebbe avere, infine, una previsione di scadenza ravvicinata nel tempo, da un lato sufficiente a costringere la rivisitata compagine sociale a dialogare in modo costruttivo e dall’altro lato, di durata parametrata a quella ragionevolmente attesa affinché i nuovi assetti societari (e persone) possano prendersi le giuste misure e trovare un appropriato ruolo e posizionamento all’interno della società.
Francesco Fontana