Dott. Iacopo Trevisan
Cosa sono i “punitive damages”?
I punitive damages – di solito impropriamente indicati con l’espressione italiana “danni punitivi” in luogo della più corretta “risarcimenti punitivi” – sono un istituto giuridico di matrice anglosassone, tipico degli ordinamenti di common law, e in particolare proprio del diritto degli Stati Uniti d’America. Originatosi infatti nella common law inglese, l’istituto è successivamente filtrato nella common law statunitense, radicandovisi con fortuna ed evolvendosi autonomamente.
Nonostante l’indiscussa natura civilistica, il rimedio risponde a finalità prettamente penalistiche di punishment e deterrence. I punitive damages nordamericani infatti costituiscono, in sostanza, una figura di “risarcimento ultracompensativo” accordato in aggiunta al risarcimento delle comuni voci di danno (actual o compensatory damages) in caso di illeciti caratterizzati da un elevato grado di riprovevolezza dal punto di vista dell’elemento soggettivo (malice, fraud, gross negligence. In tal modo il rimedio, sorretto da finalità afflittive e deterrenti, ristora il danneggiato oltre (e spesso ben oltre) il pregiudizio effettivamente subito (con conseguente possibilità per il danneggiato di trarre addirittura un vantaggio dall’illecito), ad ampia discrezionalità di una giuria popolare chiamata a pronunciarsi sull’an e sul quantum del risarcimento punitivo, sulla base della valutazione delle peculiarità del caso concreto.
Il problema dei risarcimenti punitivi in Italia.
Il problema dell’ingresso dei risarcimenti punitivi in Italia si pone nel caso in cui venga adito un giudice italiano per ottenere la delibazione di una sentenza straniera che condanni una persona fisica o giuridica italiana al pagamento di punitive damages (a titolo di esempio si pensi ad una condanna punitiva statunitense nei confronti di un produttore italiano per danni provocati dalla commercializzazione di prodotti difettosi).
Ebbene, la questione della riconoscibilità o meno di tali pronunce straniere impegna da anni dottrina e giurisprudenza italiane in una dibattuta querelle giuridica. Detta questione, del resto, risulta piuttosto complessa, involvendo l’individuazione delle funzioni del sistema italiano della responsabilità civile, e ponendosi in termini di contrasto con il principio di ordine pubblico di cui all’art. 64, comma 1, lett. g), della L. n. 218 del 1995, il quale disciplina il riconoscimento in Italia di sentenze straniere secondo il diritto internazionale privato, escludendolo nel caso in cui dette pronunce producano effetti contrari all’ordine pubblico, da intendersi quale complesso dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico.
In fin dei conti, già dalla generalissima descrizione di cui sopra, non pare difficile scorgere una certa incompatibilità tra i tratti essenziali dell’istituto straniero dei punitive damages e alcuni capisaldi del nostro sistema giuridico, quali il principio della netta separazione interna tra diritto civile e diritto penale, quello del monopolio statale dell’azione penale, nonché i principi di integrale riparazione del danno e di divieto di arricchimento senza causa. Principi questi, che informano il nostro ordinamento in tema di responsabilità civile e risarcimento del danno, e che osterebbero, in linea di principio, alla possibilità stessa di instaurare un’azione civile avente tendenziale finalità persecutoria del danneggiante e diretta ad avvantaggiare la persona offesa.
La tradizionale communis opinio giurisprudenziale.
Tralasciando le varie e diversamente argomentate posizioni dottrinali sull’argomento, va detto che sul punto la giurisprudenza italiana, fino al 2016, era stata fermamente orientata ad escludere radicalmente la polifunzionalità della responsabilità civile e l’exequatur delle condanne straniere a punitive damages, per contrasto con il summenzionato principio di ordine pubblico di cui all’art. 64, lett. g), L. n. 218/1995. Tale orientamento – suffragato da due importanti pronunce della nostra Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183; Cass. Civ. Sez. I, 8 febbraio 2012, n. 178) e da un’importante sentenza della Corte di Appello di Trento (sez. dist. Bolzano 16 agosto 2008) – si fonda sull’asserita monofunzionalità compensativa della responsabilità civile italiana. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità «nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno, così come è indifferente la condotta del danneggiante» e «alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera del soggetto che ha subito la lesione» e quindi di riparare integralmente il danno da questo effettivamente sofferto (Cass. Civ. Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183). In tal modo la funzione solamente riparatoria, e non anche punitiva, del risarcimento del danno verrebbe a costituire, nel nostro ordinamento, un principio di ordine pubblico, in virtù del quale non potrebbe essere concesso l’exequatur a una sentenza straniera di condanna a danni con funzione punitiva, quali i punitive damages nordamericani.
Il nuovo orientamento.
Questo tradizionale orientamento della giurisprudenza Italiana è stato superato dal revirement adottato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 16601 del 2017, intervento sollecitato dalla Prima Sezione con ordinanza interlocutoria n. 9978 del 2016, la quale ultima ha aperto più che uno spiraglio all’ingresso e all’eseguibilità nel nostro ordinamento di sentenze straniere di condanna a risarcimenti punitivi, discostandosi nettamente dalla prospettiva adottata in precedenza.
Chiamate ad intervenire sul punto, le Sezioni Unite, a fronte delle prospettazioni di netta apertura contenute nell’ordinanza di rimessione, sembrerebbero però essere approdate ad una più prudente posizione di compromesso, peraltro lontana dal definire in modo definitivo la querelle giuridica, e prevedibilmente destinata ad alimentare riflessioni dottrinali e sviluppi giurisprudenziali di diverso esito. Le Sezioni Unite infatti enunciano il principio di diritto secondo cui “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità con l’ordine pubblico”.
Ora, se a prima vista sembra trattarsi di un overruling di portata fortemente innovativa che, in netta discontinuità rispetto alla precedente prospettiva, apre alla polifunzionalità della responsabilità civile e al riconoscimento dei punitive damages, ad un esame più attento della pronuncia, l’impressione è che esso sia avvenuto in termini più equilibrati e contenuti di quanto, prima facie, possa sembrare dalla lettura del solo principio di diritto: la motivazione della sentenza, infatti precisa, circoscrivendole, le affermazioni di principio sopra riportate.
In primis, l’affermazione della polifunzionalità della responsabilità civile risulta in realtà fortemente ridimensionata dalla precisazione, contenuta nella motivazione, secondo cui tali ultime funzioni non possono connotare la responsabilità civile se non nei casi in cui una specifica norma di legge lo preveda, ostandovi in caso contrario il doveroso rispetto dei principi desumibili dagli artt. 23 e 25, comma 2 Cost., ed essendo, comunque, da ribadire la «preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell’istituto».
In secundis, il riconoscimento di condanne punitive straniere è ammesso solamente in linea di principio, essendo, in concreto, subordinato a limiti piuttosto gravosi (tipicità delle ipotesi di condanna, prevedibilità della stessa, limiti quantitativi legislativamente predeterminati, proporzionalità del risarcimento punitivo rispetto al risarcimento compensativo e alla gravità della condotta), la sussistenza dei quali nel caso di specie spetterà al giudice della delibazione valutare. Per di più, detti limiti sono fondamentalmente lasciati imprecisati. Ciò che rivela come la soluzione delle Sezioni Unite non sia in realtà del tutto risolutiva, sembrando piuttosto essere solamente poste le premesse per un successivo approccio giurisprudenziale, che dipenderà notevolmente dalle variabili del singolo caso di specie e dal modo in cui ciascun giudice della delibazione riterrà di doverle discrezionalmente valutare. Ciò che potrebbe anche aumentare la litigiosità in questa delicata materia.
Nonostante ciò, sembrerebbe difficile discostarsi dalla soluzione prospettata dalle Sezioni Unite, la quale appare apprezzabile e condivisibile proprio per la particolare “moderazione” con cui giunge ad affermare la polifunzionalità della responsabilità civile (conformandosi in tal modo all’orientamento dottrinale ormai dominante in Italia), derivandone la compatibilità ontologica dei punitive damages con l’ordinamento italiano, senza infrangere il principio della integrale riparazione del danno e, anzi, ribadendo la preponderanza della funzione riparatorio-compensativa, da intendersi quale regola derogabile (in senso punitivo) solo da talune eccezioni specificamente previste dalla legge. Così come condivisibile appare la riconoscibilità delle comminatorie straniere di danni punitivi che, nel caso concreto, risultino rispettose dei principi di legalità e proporzionalità, soprattutto laddove, l’onerosità di tali condizioni – peraltro nemmeno ben precisate – renda in concreto difficile la delibazione di condanne straniere a punitive damages ed escluda il riconoscimento di una generale figura di risarcimento punitivo nel nostro ordinamento.
Dott. Jacopo Trevisan