Avv. Alessia Facco
Ad ogni genitore è capitato di acquistare un omogeneizzato per il proprio bimbo oppure delle farine di cereali o della pastina formato baby.
Non tutti sanno, tuttavia, che esiste una normativa che disciplina il cosiddetto baby food (normativamente individuato dall’espressione “alimenti per la prima infanzia”) e che differenzia questi prodotti da quelli che potrebbero sembrare tali ma che, in realtà, non lo sono agli effetti di legge.
La materia degli alimenti per lattanti e degli alimenti di proseguimento è devoluta ad un apposito regolamento contenuto nel D.M. n. 82/2009 in recepimento della Direttiva 2006/125/CE. Sul tema è inoltre intervenuto il Reg. UE n. 609/2013.
I prodotti destinati alla prima infanzia risultano caratterizzati da una composizione nutrizionale appositamente creata per la dieta o per parte della dieta del lattante (e quindi il neonato di età inferiore ai 12 mesi) e del bambino (soggetto da 1 a 3 anni) in buona salute, al fine di soddisfare le particolari esigenze dei soggetti nella prima infanzia, ovvero nella fascia di età che parte dalla nascita e prosegue fino ai tre anni. Tali alimenti vengono distinti in tre categorie: 1) formule per lattanti e formule di proseguimento; 2) prodotti a base di cereali e 3) altri alimenti per lattanti e per bambini.
Ci concentreremo su quei cibi dedicati al periodo dello svezzamento, che inizia verso i 6 mesi d’età, e che costituisce un momento cruciale per creare e sviluppare le abitudini alimentari dei bambini, volendo escludere da questa digressione ogni indagine circa le c.d. formule per lattanti e di proseguimento.
Ad ispirare la materia è il principio secondo cui “gli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini non devono contenere alcuna sostanza in quantità tale da poter nuocere alla salute dei lattanti o dei bambini”.
Pertanto, grande attenzione è rivolta agli aspetti tossicologici, in quanto la sicurezza del baby food è particolarmente garantita dall’imposizione dei limiti molto restrittivi per i livelli di contaminanti, quali ad esempio metalli pesanti, residui di antiparassitari, nitrati, diossine, micotossine e altri contaminanti.
È inoltre garantita l’assenza di organismi geneticamente modificati (OGM), di coloranti, conservanti ed edulcoranti.
Infine, tali alimenti devono soddisfare specifici requisiti di composizione nutrizionale, in termini di proteine, carboidrati, grassi, vitamine e minerali.
Il Regolamento stabilisce altresì una disciplina specifica in tema di etichettatura, in quanto sulla confezione del baby food deve essere indicata l’età a partire dalla quale può essere utilizzato, la presenza o assenza di glutine per i prodotti indicati da prima dei 6 mesi, il valore energetico, la dose di vitamine e dei minerali per cui è fissato un limite specifico e di proteine e i lipidi.
Nonostante la rigidità della normativa dettata per la produzione e per la commercializzazione dei baby food, si riscontra una grande confusione tra i consumatori.
Per la maggior parte dei genitori, atecnici della materia, risulta complicato distinguere i prodotti effettivamente corrispondenti alla normativa da quelli, al contrario, destinati ai bambini di età superiore ai tre anni e che, pur essendo sicuri, possono contenere sostanze non adatte ai bambini più piccoli.
La ragione è da ricercare nel fatto che, spesso, alcuni prodotti, grazie a strategie pubblicitarie ai limiti dell’ingannevolezza, vengono fatti sembrare alimenti idonei alla prima infanzia pur non avendo i requisiti di legge.
Il riferimento è ai formati ridotti di pasta e di formaggini, a biscotti, a cereali e a merendine sui quali sono stampigliati i personaggi dei cartoni animati.
Senza poi tralasciare il loro posizionamento nei locali di vendita: non è infatti improbabile trovare sullo stesso scaffale, accanto ai baby food prodotti nel rispetto della legge, alimenti che in realtà non lo sono affatto.
Con conseguente confusione del genitore consumatore, il quale si trova spesso a scegliere il prodotto meno costoso rispetto al “vero” baby food vicino di scaffale (che solitamente ha un prezzo più elevato in ragione dei maggiori costi sostenuti), nella errata convinzione di acquistare un prodotto destinato alla prima infanzia.
In realtà, frequentemente, il contenuto di pesticidi e di tossine contenuto in siffatti prodotti non è adatto all’alimentazione dei minori di tre anni.
Va comunque detto che molti pediatri e nutrizionisti, in linea anche con le recenti tendenze favorevoli all’autosvezzamento, vedono nel baby food più uno strumento di marketing a favore delle grandi industrie alimentari che un’effettiva garanzia di qualità e, quindi, non lo individuano come la best option per i piccoli consumatori.
A prescindere dalle varie correnti di pensiero, è corretto che ogni genitore, anche il meno esperto dal punto di vista nutrizionale e alimentare, sia informato in merito a quali sono le caratteristiche di tali prodotti che li rende diversi rispetto agli altri, al fine di poter effettuare una scelta consapevole per i propri bimbi.
Ciò detto, come può il consumatore consapevole distinguere il baby food dal resto dell’offerta?
A tal proposito, sarà sufficiente che il genitore tenga presente che l’etichetta dell’alimento destinato alla prima infanzia conforme alla legge deve contenere obbligatoriamente “l’indicazione dell’età a partire dalla quale il prodotto può essere utilizzato”, ricordando che “in nessun caso l’età indicata è inferiore ai 4 mesi”.
Nel caso in cui l’etichetta del prodotto non contenga alcun riferimento all’età di consumo, allora ci troveremo davanti ad un alimento non classificabile come baby food e quindi non rispondente alle speciali garanzie individuate dalla legge.
Avv. Alessia Facco