Stefano Peron
Si ha responsabilità medica (cd. “Malpractice”) quando sussiste il collegamento tra una lesione alla salute del paziente e la condotta del medico, dell’operatore sanitario e/o della struttura sanitaria.
Quando parliamo di responsabilità medica ci riferiamo quindi ad un insieme complesso, riferibile a prestazioni di diversa tipologia (diagnostiche, ospedaliere, terapeutiche, chirurgiche, estetiche ecc.), che possono essere erogate da soggetti con qualifiche differenti (medici, infermieri, tecnici, ecc.), in una casistica molto ampia.
Quando il risultato delle prestazioni non è positivo, può essere che ciò sia attribuibile ai sanitari o alla struttura sanitaria, a causa di vari motivi e, quindi, che sussista una loro responsabilità per il peggioramento della salute del paziente o – nei casi più gravi – per la sua morte.
La responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie può essere civile (e dar, quindi, luogo ad un obbligo risarcitorio) ovvero penale (e dar luogo a sanzioni penali).
La c.d. “responsabilità medica” è stata recentemente oggetto di un’ampia riforma introdotta dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, c.d. legge Gelli che ha modificato tanto la disciplina sostanziale (sia in materia civile che penale) che quella processuale.
Ma quali sono gli elementi che determinano una malpractice sanitaria?
Innanzitutto la colpa (e/o il dolo) in base al generale principio per cui, quando dalla propria condotta colposa (o dolosa) deriva un danno al paziente, il sanitario o la struttura sono chiamati a risarcire il danno; un evento è colposo quando non è voluto dall’agente (in caso di evento voluto parliamo, infatti, di dolo), ma si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia (cd. colpa generica), oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (cd. colpa specifica).
L’errore (colposo) può quindi essere compiuto nella fase diagnostica, o in quella prognostica, o nella fase terapeutica.
L’errore diagnostico può dirsi concretizzato nella mancata o non corretta individuazione della patologia, oppure nella sottovalutazione della stessa, o nel ritardo nella diagnosi.
L’errore prognostico si concretizza, invece, in un errato giudizio di previsione sul decorso o sull’esito di una patologia.
L’errore terapeutico riguarda invece il momento della scelta del trattamento o la sua esecuzione, come ad esempio l’errata scelta, o l’errata esecuzione, di un intervento chirurgico.
Il legislatore, con l’art 2236 c.c., ha voluto circoscrivere il perimetro della responsabilità civile dei sanitari, prevedendo che “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera (e, quindi, l’esercente la professione sanitaria) non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. La giurisprudenza ha, però, in parte ridimensionato la portata di tale limitazione di responsabilità, precisando che la speciale difficoltà della prestazione (che “scuserebbe” l’errore dovuto a colpa c.d. lieve) può essere invocata solo in caso d’imperizia (e non d’imprudenza o negligenza) e solo nel caso in cui il sanitario abbia debitamente informato il paziente dei rischi della prestazione sanitaria.
Relativamente alla colpa in ambito penale, la legge Gelli, all’art 6 – nel modificare la precedente disciplina dell’omicidio colposo e delle lesioni colpose in ambito sanitario mediante l’introduzione del nuovo art. 590-sexies del codice penale – sancisce un nuovo principio finalizzato a circoscrivere e ridurre le ipotesi in cui il sanitario risponde penalmente in caso di errore medico. Tale disposizione della legge Gelli prevede, infatti, che “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità’ è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità’ del caso concreto».
In secondo luogo, il nesso di causa, in quanto una condotta colposa non è di per sé sufficiente a determinare la responsabilità ma è necessario che la lesione della salute sia causalmente riconducibile proprio alla predetta condotta colposa e non a fattori causali esterni. Per la complessità della materia, può accadere che sia difficile stabilire con certezza la sussistenza del nesso di causa tra errore medico e danno alla salute, per cui occorrerà, nella maggior parte dei casi, affidarsi ad un criterio probabilistico.
La giurisprudenza ha ritenuto che detto criterio probabilistico debba essere più rigoroso in ambito penale, in virtù del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 della Costituzione e della previsione dell’art 530 c.p.p., in forza della quale il giudice non può condannare l’imputato quando non abbia la certezza, oltre ogni ragionevole dubbio, della sua colpevolezza. In particolare in ambito penale la Cassazione ai fini della sussistenza del nesso di causa richiede un’«alta probabilità logica o razionale» (vicina, quindi al 100%). Tale ordine di pensiero è estraneo al processo civile in cui vale il principio, tipicamente nordamericano, del «più probabile che non» ossia, in termini numerici, in ambito civile è sufficiente una percentuale pari al 51% (si veda, ad esempio, la recente Cass. 16 ottobre 2007, n. 21619); inoltre, in ambito civile a differenza che in quello penale, l’accertamento causale può aversi anche per presunzioni ex art. 2727 cod. civ..
In terzo luogo, il danno (patrimoniale e non) è l’oggetto del risarcimento e, in base alle recenti novità legislative, è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, tenuto conto della condotta del sanitario o della struttura.
Dal punto di vista processuale, la legge Gelli ha introdotto un tentativo di conciliazione, nelle forme della consulenza tecnica preventiva o della mediazione civile, il cui esperimento è obbligatorio per poter procedere giudizialmente al fine del risarcimento del danno,
È bene segnalare che tutte le parti devono partecipare obbligatoriamente al tentativo di conciliazione, ivi comprese le imprese di assicurazione, che hanno anche l’obbligo di formulare un’offerta di risarcimento o di giustificare la mancata offerta. Le parti che non siano intervenute, peraltro, sono condannate al pagamento delle spese legali e di consulenza tecnica, e ciò indipendentemente dall’esito finale.
Se la conciliazione fallisce (o il procedimento non si conclude entro 6 mesi) la causa deve essere iniziata entro i successivi 90 giorni e può essere proposta nelle forme – più agili – del procedimento sommario di cognizione.
Da ultimo, si segnala che le strutture sanitarie (o sociosanitarie), siano esse pubbliche e private, sono obbligate alla copertura assicurativa per la responsabilità civile anche per i danni cagionati dal personale e anche per le prestazioni svolte al loro interno in regime di libera professione, così come è obbligatoria un’ulteriore copertura assicurativa per la responsabilità del medico o sanitario che esercita al di fuori delle strutture o che presta opera in regime libero-professionale. A tal riguardo, è importante segnalare che la legge Gelli ha anche introdotto la possibilità per il danneggiato di esercitare – analogamente a quanto avviene, fin dal 1969, per i sinistri stradali – un’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazione.
Stefano Peron