AFPC – Facco
Ai sensi dell’art. 1304, comma 1, c.c.: “La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare”.
L’ambito di operatività della norma si ravvisa nella comunanza dell’oggetto della transazione, da cui discende il diritto potestativo del condebitore solidale di poterne profittare (cfr. Tribunale Milano Sez. I Sent., 21/08/2018), esercitabile, come tale, anche nel corso del processo, senza alcun requisito particolare di forma né limiti di decadenza (Cass. civ. Sez. I Ord., 18/06/2018, n. 16087 (rv. 649667-01)).
Trattandosi di diritto potestativo del terzo, a nulla varrebbe una qualsiasi formula di stile contenuta nella transazione che escluda detta facoltà a lui attribuita, giacché “res inter alios acta, tertio neque nocet neque prodest”.
Diverso è il caso in cui il creditore ed uno dei coobbligati in solido transigano la sola posizione di quest’ultimo, con sua limitata liberazione dal rapporto in contesa e ferma la salvezza di ogni altra ragione creditoria verso gli altri condebitori solidali.
In tal modo, il debitore-transigente definisce la propria posizione disinteressandosi delle vicende future, che riguarderanno esclusivamente gli altri coobbligati, mentre il creditore ottiene una soddisfazione certa, benché parziale, riservandosi per il restante di agire nei confronti degli altri soggetti coobbligati.
In casi simili, è prassi indicare nell’accordo transattivo che la transazione riguarda esclusivamente le pretese nei confronti del debitore-contraente e, quindi, soltanto la quota di responsabilità ad esso riferibile, senza che la transazione ed i relativi effetti possano in alcun modo riguardare (o estendersi a) altri soggetti eventualmente responsabili o corresponsabili.
Pertanto, in tale ultima ipotesi, restano intatti e impregiudicati i diritti, le pretese e le azioni del creditore verso gli altri soggetti che (autonomamente o in concorso con il debitore contraente) avessero realizzato condotte suscettibili di costituire fonte di responsabilità.
Per salvaguardare le finalità della transazione parziale, a nulla varrebbe (di per sé) escludere la facoltà dei condebitori in solido di profittare della transazione ex art. 1304, comma 1, c.c., poiché tale previsione contrattuale non consente (di per sé) di qualificare l’accordo come transazione parziale. Si tratterebbe, a ben vedere, di una pattuizione non opponibile ai “terzi” condebitori ed, al più, nulla per carenza di consenso legittimamente prestato dall’avente diritto, con conseguente applicazione dell’art. 1419 c.c. e conservazione, per il resto, dell’accordo transattivo.
Ciò che conta, invece, è la corretta individuazione dell’oggetto dell’accordo transattivo su cui le parti hanno inteso contrattare e, segnatamente, l’evidenza che le reciproche concessioni di cui all’art. 1965 c.c. si riferiscono alla quota di responsabilità del debitore-transigente, anziché all’intero debito.
Ma questo come si concilia con la posizione dei condebitori solidali che intendessero, in un futuro giudizio, far valere una maggiore responsabilità del coobbligato che ha transato la propria posizione? Ed ancora, quali sono gli effetti rispetto all’azione di regresso?
Un esempio può essere utile: il committente Tizio reclama un danno di euro 100.000 per vizi di un edificio causati dall’operato del direttore dei lavori (Caio) e del costruttore (Sempronio), i quali rispondono in solido (anche se per titoli diversi). Per evitare la minacciata azione giudiziale, il direttore lavori Caio trova un accordo ad euro 40.000 con il committente Tizio, sottoscrivendo una transazione pro-quota, come sopra delineata. A questo punto, Tizio manterrà il diritto di agire nei confronti del costruttore Sempronio, ma dovrà – necessariamente – ridurre la propria domanda ad euro 60.000, avendo già incassato un risarcimento parziale di euro 40.000 su un totale di danno di euro 100.000. A sua volta, in prospettiva di soccombenza, il costruttore Sempronio eccepirà la res transacta dell’altro condebitore ed, in subordine, chiederà di limitare la propria condanna alla quota di responsabilità, benché originariamente solidale, in misura inferiore al 60%, affermando una responsabilità del direttore lavori Tizio superiore al 40%, pari alla quota ideale da egli assunta con la transazione. Sempronio sosterrà, in buona sostanza, una quota inferiore od uguale nella responsabilità con l’altro debitore e che, quindi, non appare corretto che egli (in ragione del vincolo solidale ab origine e della presunzione di uguaglianza di quote di responsabilità) sia tenuto al pagamento del 60% del danno, a prescindere da quale che sia la sua concreta responsabilità ed in forza della transazione sottoscritta tra i soli Tizio e Caio, con la quale quest’ultimo si era assunto il solo 40% della quota ideale del danno.
A tali fini la giurisprudenza è da tempo unanime nel ritenere che: “Se la transazione è limitata alla sola quota interna del debitore, si determina lo scioglimento del vincolo solidale tra il condebitore stipulante e gli altri, riducendo l’intero importo corrispondente alla quota transatta”. Pertanto, per effetto di tale accordo, dato lo scioglimento del vincolo solidale, gli altri condebitori rimarranno obbligati nei limiti della loro quota (Cassazione, 27.03.2007, n. 7485 e 08.07.2009, n. 16050).
Tale pronunzia ha subito nel tempo un intervento correttivo esplicativo, con le Sezioni Unite della Cassazione, (sentenza n. 30174 del 2011), che hanno affermato il principio per cui “qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che la ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto”; questo principio ha quindi risolto un contrasto giurisprudenziale per cui taluni decurtavano l’ammontare, anche se inferiore alla quota, mentre altri decurtavano il valore pari alla quota.
Deve, in ogni caso, essere chiaro che andranno compiuti due distinti accertamenti, l’uno afferente la effettiva consistenza del danno e l’altro relativo alla misura della rispettiva quota di responsabilità. Solo in questo modo si potrà correttamente applicare il principio di cui sopra.
Nell’esempio sopra riportato, quindi, Sempronio – sciolto il vincolo di solidarietà passiva ed appurata in euro 100.000 l’effettiva consistenza del danno complessivo – avrà il diritto di far accertare la misura della sua concreta responsabilità nella causazione del danno; in questo modo, se tale responsabilità venisse accertata come superiore al 60%, o anche pari al 100%, egli (pur avendo una quota ideale di responsabilità superiore) sarà tenuto ad un pagamento limitato ad euro 60.000, avendo il creditore già percepito 40.000 euro su 100.000 di danno.
Invece, nel diverso caso in cui la sua responsabilità concreta fosse accertata in misura inferiore al 60% (poniamo il 20%) egli dovrà pagare soltanto una somma rapportata a tale sua concreta responsabilità (20.000 euro), essendosi assunto il danneggiato Tizio il rischio di definire una transazione parziale con Caio. In altri termini, il comando giudiziale rivolto ai debitori in solido estranei ad una precedente transazione parziale non potrà mai far conseguire al creditore un risultato utile maggiore del risarcimento integrale del danno effettivamente patito.
La soluzione offerta dalla giurisprudenza appare corretta e, inoltre, ha il pregio di escludere che i condebitori estranei alla transazione possano efficacemente chiamare in causa il debitore che ha definito preventivamente la propria posizione, ovvero agire successivamente in regresso nei confronti di quest’ultimo.
Avv. Alessia Facco