AFPC – Cera
Spetta al professionista informare il cliente delle scarse possibilità di successo dell’impugnazione e dissuaderlo dal ricorrere alla Giustizia tributaria.
Il presente articolo ha ad oggetto l’esame di una recente sentenza del Tribunale di Vicenza, che ha condannato due Professionisti a risarcire i propri clienti del danno subito in una fattispecie riguardante un contenzioso tributario (Sentenza n. 662 del 26.3.2020).
La vicenda aveva avuto origine dalla contestazione dell’Agenzia Entrate di ingenti ricavi non dichiarati da una società partecipata da due fratelli; conseguentemente, ai due fratelli erano stati notificati anche avvisi di accertamento relativi ai redditi non dichiarati e relative sanzioni, nella presunzione che gli omessi ricavi della società fossero imponibili agli stessi nella misura del 40% (principio del cd. ribaltamento).
I due fratelli hanno quindi citato in giudizio i Professionisti, i quali avevano erroneamente introdotto il ricorso tributario avverso gli avvisi di accertamento “a monte” (quelli nei confronti della società), con conseguente inammissibilità dell’opposizione e definitività dell’accertamento dei maggiori ricavi societari; ciò determinava anche il rigetto dei ricorsi presentati per conto dei soci, basati esclusivamente su una debole contestazione del principio del cd. ribaltamento dei redditi.
I fratelli contestavano quindi la responsabilità professionale dei Professionisti, affermando che il rigetto delle opposizioni era riconducibile esclusivamente al loro errore, che aveva determinato l’esito sfavorevole della lite, obbligandoli a pagare imposte e sanzioni per avvisi di accertamento che, se correttamente impugnati, avrebbero avuto ragionevoli possibilità di essere annullati; conseguentemente, i due fratelli avevano chiesto, in via principale, la condanna dei Professionisti a risarcirli di quanto avevano dovuto pagare all’erario.
I Professionisti e loro assicurazioni, per quanto interessa ai fini di questo articolo, si difendevano affermando che gli avvisi di accertamento erano comunque fondati e, quindi, inevitabilmente destinati ad essere confermati in sede giudiziale, anche se i ricorsi fossero stati correttamente promossi.
In altre parole, i Professionisti sostenevano che: a) il “vizio formale” non era sufficiente a fondare la loro responsabilità, dovendo comunque valutarsi se i ricorsi avevano la concreta possibilità di essere accolti; b) nel caso di specie, i rilievi dell’Agenzia Entrate erano corretti sia nella forma che nella sostanza, per cui l’opposizione, anche se correttamente promossa, non avrebbe mai potuto condurre all’annullamento degli stessi.
In ultima analisi, i professionisti deducevano l’insussistenza del cd. nesso causale tra la loro condotta (seppur negligente) e il danno subito dagli attori, comunque inevitabile.
Effettivamente, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (richiamata nel caso in esame anche dal Tribunale di Vicenza) “la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività del commercialista incaricato dell’impugnazione di un avviso di accertamento tributario, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole del ricorso alla commissione tributaria, che avrebbe dovuto essere proposto e diligentemente seguito” (Cass. Civ. n. 9917 /2010 e n. 10966/2004).
In forza del richiamato principio, il Tribunale di Vicenza ha rigettato la domanda principale dei due fratelli, affermando che, seppure fosse innegabile la carenza dei professionisti che ha determinato l’inammissibilità dei ricorsi, tale errore non era sufficiente a fondare la loro responsabilità; e ciò in quanto, secondo la regola del “più probabile che non”, i ricorsi, anche se correttamente instaurati, avrebbero avuto assai scarse probabilità di conseguire un esito positivo.
Tuttavia, la questione non era esaurita.
Infatti, i due fratelli avevano formulato anche una domanda subordinata, rilevando che i due professionisti non li avevano mai informati della circostanza riguardante le scarse possibilità di accoglimento dei ricorsi, circostanza che i Professionisti avevano sollevato soltanto in sede giudiziale, al fine di sottrarsi alla responsabilità risarcitoria.
I due fratelli hanno quindi sostenuto che, ove effettivamente la valutazione prognostica del ricorso fosse stata sfavorevole, i Professionisti avrebbero dovuto informarli sin da subito, così da permettere loro di accedere alle definizioni agevolate previste dalla legge in caso di adesione all’accertamento senza opposizione, agevolazioni che avrebbero comportato un robusto sconto delle sanzioni, nella misura di 7/8 e, quindi, di quasi il 50% dell’intera somma portata dagli avvisi di accertamento. Per questo motivo, i due fratelli hanno chiesto in via subordinata (e quindi nel caso in cui fosse stata rigettata la domanda risarcitoria integrale, formulata in via principale) un risarcimento pari alla misura del maggior esborso che avevano dovuto subire per l’assenza di informazione circa le scarse probabilità di accoglimento dei ricorsi.
In altre parole, gli attori hanno sostenuto che se i Professionisti avessero detto loro fin da subito che i ricorsi erano destinati a non essere accolti, senza dubbio essi avrebbero optato per la definizione in via agevolata, così riducendo di quasi la metà il proprio esborso.
Quest’ultima domanda è stata accolta, e i due Professionisti sono stati condannati al risarcimento in favore degli attori di una somma pari quasi alla metà di quella versata da questi ultimi all’erario.
Il Tribunale di Vicenza, richiamando la giurisprudenza di legittimità, ha affermato che sussiste lo specifico obbligo in capo al professionista di dissuadere il cliente da azioni che siano manifestamente prive di fondamento (Cass. 9695/2016, conforme Cass. 10289/2015); altresì, ha statuito che la responsabilità professionale, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza media ( art. 1176, comma 2 c.c.) e che tale violazione, ove consista nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è esclusa, né ridotta, dalla circostanza che l’adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, poiché è esclusivo compito del professionista che assiste la parte in giudizio la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell’attività professionale. Il professionista, inoltre, all’atto del conferimento del mandato e nel corso dello svolgimento del rapporto, “è tenuto non solo al dovere di informazione del cliente, ma anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione dello stesso, nonché a sconsigliare all’assistito la introduzione o la prosecuzione di un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole”.
È evidente la “trappola giuridica” che si è innescata nel corso del giudizio a discapito dei due Professionisti: essi, per difendersi dalla domanda risarcitoria principale, hanno affermato la correttezza e l’inoppugnabilità ab origine degli avvisi di accertamento opposti; così facendo, tuttavia, hanno finito per ammettere un loro ulteriore inadempimento rispetto al contratto d’opera professionale, fonte di un’ulteriore (benché eventuale e subordinata) obbligazione risarcitoria. Se, infatti, i professionisti ritenevano che le impugnazioni degli avvisi non avessero alcuna possibilità di accoglimento, è ovvio che avrebbero dovuto, all’epoca, informare i due fratelli di tale valutazione, provvedendo a dissuaderli dall’introduzione dell’opposizione (in questo senso: Cass. civ. Sez. III Ord., 03/09/2019, n. 21982).
Vi è da dire che la strategia difensiva dei due Professionisti non può definirsi errata; essi, infatti, a fronte dell’errore in sede di introduzione dei giudizi, non avevano altra strada per difendersi dalla domanda risarcitoria principale, se non quella di allegare che la loro condotta, seppur negligente, non aveva determinato il danno subito dagli attori. Questa difesa, tuttavia, come si è visto, ha segnato la loro condanna con riferimento alla domanda subordinata.
L’unica via di uscita per i professionisti, a quel punto, sarebbe stata quella di offrire in giudizio la prova di aver compiutamente informato i due fratelli circa l’esito probabilmente sfavorevole delle opposizioni, prova che, tuttavia – come spesso accade –, i professionisti non si erano precostituiti all’epoca dei fatti.
In mancanza di una simile prova, i Professionisti avevano da ultimo cercato di addossare in capo agli attori l’onere probatorio (in senso negativo) dell’avvenuta corretta informazione; ma tale onere, come osservato dal Tribunale di Vicenza, gravava pacificamente sui professionisti, per cui – in assenza di prove in un senso o nell’altro – il Giudice ha dovuto accertare la mancanza di una corretta informazione al cliente, con conseguente condanna dei due Professionisti.
A parere di chi scrive, le motivazioni della sentenza qui esaminata appaiono coerenti con i principi generali dell’ordinamento in materia di responsabilità contrattuale e di onere della prova.
È vero che l’affermarsi di una simile corrente giurisprudenziale espone i professionisti impegnati in sede contenziosa (Commercialisti e Avvocati) al concreto rischio di azioni risarcitorie fondate – in ultima analisi – sulla sola mancata prova di una diligente opera di dissuasione del cliente; tuttavia, non è contestabile l’affermazione per cui il cliente ha il diritto di essere pienamente informato di ogni rischio riguardante l’attività svolta per suo conto e dietro compenso e – laddove occorra – di esserne dissuaso; né può essere contestato il principio (che deriva dalle regole generali dell’ordinamento) in base al quale spetta al professionista offrire la prova di aver diligentemente adempiuto al dovere di informazione e dissuasione del cliente.
Spetterà quindi ai professionisti precostituirsi, come ancora di salvezza, la prova documentale di aver adempiuto agli oneri sopra menzionati, quantomeno nei casi più delicati e, preferibilmente, mediante descrizione specifica ed analitica della vicenda e dei consigli rilasciati al cliente, evitando di utilizzare formule precostituite o generiche, che sarebbero inevitabilmente destinate ad una valutazione di insufficienza ai fini dell’adempimento dell’obbligo di informazione.
Avv. Nicola Cera