Avv. Francesca Tonin
Comunemente quando di parla di stalking, rectius atti persecutori, si pensa ad un ex partner o corteggiatore che importuna un uomo o una donna per motivi di carattere affettivo, ma ben può capitare che tale turbativa riguardi aspetti del quotidiano, come la vita condominiale, spesso teatro di screzi o dissapori che possono sfociare in comportamenti penalmente rilevanti.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti coniato il termine di “stalking condominiale”, con ciò riferendosi a quelle sistematiche vessazioni e molestie subite da un condomino o da una pluralità di condomini per opera di un altro condomino/vicino di casa e volte ad arrecare un disturbo intollerabile, tale da condizionarne la vita di tutti i giorni.
Non si tratta di un’ipotesi speciale codificata dal legislatore, bensì di una particolare applicazione giurisprudenziale di una figura criminosa volta a tutelare la libertà individuale, resa possibile dalla forma libera con la quale è descritta la fattispecie incriminatrice dell’art. 612 bis c.p. che disciplina appunto gli atti persecutori.
Al fine di poter rientrare nell’alveo dell’art. 612 bis c.p., tali comportamenti devono consistere in minacce e molestie tali da determinare nella persona che le subisce uno dei seguenti eventi di danno:
a) un perdurante e gravo stato di ansia o di paura;
b) un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine;
c) un costringimento ad alterare le proprie abitudini di vita.
Si tratta pertanto di condotte persecutorie o di interferenza nella vita privata di una persona, tali da renderla sostanzialmente invivibile.
Il numero di condotte poste in essere è irrilevante (anche due soli episodi possono bastare – così Cass. Pen., Sez V, n. 6417/2010 – Cass. Pen. Sez III, n. 45648/2013), ciò che rileva è la gravità del comportamento, che deve essere tale da costringere il vicino a cambiare radicalmente ed irreversibilmente le abitudini di vita della vittima.
Vari sono stati i casi che sono giunti all’attenzione delle Corti di merito, fino ad arrivare alla Corte di Cassazione. Si pensi al caso di quel condomino, affetto da una forte sindrome maniacale, che aveva posto in essere una serie di atteggiamenti molesti nei confronti delle donne di un condominio, pedinandole e braccandole nell’ascensore, minacciandole di morte e insultandole in vario modo (Cass. Pen., Sez. V, 25 maggio 2011 n. 20895 – primo caso in materia – ), oppure al caso di quel condomino che recava volutamente disturbo e molestia alla quiete ed al riposo dei vicini di casa, accendendo lo stereo ad alto volume, con urla volontariamente dirette a recare disturbo, spostamento di mobili, rottura di oggetti di vetro ed altri schiamazzi, soprattutto di notte (Trib. Padova, sent. n. 1222/2013).
Il reato di stalking, perseguibile a querela di parte, prevede la condanna alla reclusione da sei mesi a cinque anni. E’ inoltre possibile che, nelle more del giudizio, che il Giudice disponga nei confronti dello stalker delle misure cautelari personali, quali il divieto di avvicinamento nei luoghi frequentati dalla vittima (si veda ad es. Trib. Padova, sent. n. 1222/2013 con la quale è stato disposto a carico del condomino stalker il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese e dai loro familiari, con prescrizione di mantenere una distanza di almeno 500 metri dai luoghi frequentati dai medesimi e vietando di comunicare con qualsiasi mezzo, telefonate, sms o e-mail con le pertanto indicate), ovvero anche la custodia cautelare in carcere, come da recente sentenza del 28.06.2016, n. 26878 della Corte di Cassazione.
Avv. Francesca Tonin