Alla luce della recente ordinanza n. 5318 del 28 febbraio 2025 della Suprema Corte, appaiono delineati i limiti e le criticità della interferenza soggettiva tra socio / amministratore / dipendente.
Premesso che per questa Corte è del tutto compatibile la posizione di socio di società di capitali con quella di amministratore della stessa, tranne le ipotesi di amministratore unico, presidente del consiglio di amministratore o di socio “sovrano” (Cass., 28/04/2021, n. 11161), la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio – dirigente alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci (Cass., 21/05/2002, n. 7465; Cass., 21/01/1993, n. 706; Cass., 25/05/1991, n. 5944).
La qualità di amministratore di una società di capitali è, dunque, compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare (Cass., 26/10/1996, n. 9368; Cass., 25/05/1991, n. 5944; Cass., 11/11/1993, n. 11119; anche Cass., 28/04/2021, n. 11161). Pertanto, potendo in astratto coesistere nella stessa persona la posizione di socio di una società e quella di lavoratore subordinato della medesima, pure un socio, componente del consiglio di amministrazione di una società, può essere legato a quest’ultima da un rapporto di lavoro subordinato, purché appunto risulti in concreto assoggettato ad un potere disciplinare e di controllo esercitato dagli altri componenti dell’organo cui egli appartiene; mentre, in mancanza di siffatto assoggettamento, l’osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato (Cass., 15/02/1985, n. 1316).
Il rapporto organico che lega il socio o l’amministratore ad una società di capitali non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato a contenuto dirigenziale tra il primo e la seconda (Cass., 3/12/1998, n. 12283). Solo, quindi, nel caso di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro non è configurabile il vincolo di subordinazione perché mancherebbe la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla (Cass., 29/05/1998, n. 5352; Cass., 05/04/1990, n. 2823; anche Cass., n. 11161/2021 cit.).
Muovendo da tali arresti giurisprudenziali, passo ad approfondire le tematiche correlate.
La natura societaria del rapporto intercorrente tra amministratore e società non preclude l’instaurazione tra i medesimi soggetti di un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo le modalità concrete di svolgimento della prestazione, le caratteristiche di un rapporto subordinato. L’art. 2, comma 2 del D.lgs. n. 81/15, nell’escludere l’applicazione della disciplina della subordinazione “alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni”, riconosce implicitamente la facoltà – per gli amministratori – di instaurare con la società anche un rapporto di collaborazione ex art. 409 c.p.c.
Il tema del rapporto e dei vincoli che gli amministratori e i soci hanno all’interno della società, assume particolare rilevanza allorquando l’attività dei soci e degli amministratori, in funzione della carica sociale rivestita, può venire a cumularsi con un rapporto giuridico connesso, per attività operative che possono essere svolte in attuazione dell’oggetto sociale proprio della società stessa, alla fattispecie del lavoro subordinato che si genera in capo al medesimo soggetto, amministratore, socio amministratore o socio di società, anche in relazione alle differenti forme societarie.
Nei rapporti interni, viceversa, nulla esclude la configurabilità di rapporti obbligatori tra società e amministratore essendo rispettivamente centro di interessi distinti. L’amministratore, in quanto persona fisica, conserva una propria soggettività giuridica che gli permette di instaurare con la stessa società tutta una serie di altri rapporti giuridici, tra i quali, eventualmente, anche un contratto di lavoro subordinato.
Peculiare appare la posizione del dirigente. In tale caso l’instaurazione di un rapporto dirigenziale, accanto alla posizione di amministratore, trae spesso origine dall’interesse del soggetto di conseguire anche i vantaggi propri dello status di lavoratore subordinato, in termini sia retributivi, sia previdenziali e assistenziali, sia di maggior stabilità del rapporto. E infatti, per il dirigente la disciplina retributiva, contributiva, assicurativa e fiscale segue le regole generali dei lavoratori subordinati. Invero il dirigente occupa una posizione sovraordinata rispetto ai dipendenti dell’azienda e al tempo stesso subordinata rispetto alla società datrice di lavoro, nei confronti della quale deve rispondere del proprio operato risultando soggetto al potere direttivo, di controllo e, non da ultimo, al potere disciplinare. Nella prospettiva di garantire che tale cumulo di rapporti sia genuino e che non sottenda invece interessi fraudolenti volti a conseguire indebite prestazioni assistenziali e/o a precostituire illecite posizioni pensionistiche, suscettibili di integrare anche gli estremi della truffa, occorre che le mansioni svolte nell’uno e nell’altro incarico rimangano distinte e che l’amministratore espleti la propria attività sotto il controllo e la direzione di altro organo sovraordinato.
L’Inps con il Messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, sulla base dei principi espressi dalla Corte di Cassazione, ha individuato i criteri di compatibilità che consentono la coesistenza, in capo alla stessa persona, della titolarità di cariche sociali in società di capitali con l’attività di lavoro dipendente.
L’Istituto si concentra in particolare sulla figura dell’amministratore unico, dell’amministratore delegato e dell’amministratore socio.
L’Inps evidenzia che la compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, nelle casistiche ritenute in astratto ammissibili, presuppone l’accertamento in concreto delle seguenti condizioni: i)affidamento del potere deliberativo diretto a formare la volontà dell’ente ad un organo collegiale o ad un altro organo sociale che sia espressione della volontà imprenditoriale; ii) rigorosa prova della sussistenza del vincolo di subordinazione, cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale rivestita, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene; iii) svolgimento in concreto, in qualità di lavoratore dipendente, di mansioni estranee al rapporto organico con la società che non siano ricomprese nei poteri di gestione che derivano dalla carica ricoperta o dalle deleghe conferite.
Conseguentemente, è necessario che risulti ben netta la distinzione tra mansioni svolte come amministratore e mansioni espletate come lavoratore e che tale diversità risulti chiaramente dal contenuto del contratto.
Il lavoratore/amministratore deve provare in modo certo la sussistenza del requisito della subordinazione, consistente nell’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso.
Sul piano dell’esecuzione delle prestazioni lavorative, occorre che l’organo collegiale amministrativo eserciti di fatto un potere direttivo, di controllo e disciplinare sull’amministratore-dipendente, di modo che la volontà di quest’ultimo non si immedesimi con quella della società e che invece risulti netta la distinzione tra il soggetto che costituisce e gestisce il rapporto di lavoro e colui invece che esegue le prestazioni lavorative.
Il messaggio INPS, aderendo all’orientamento della giurisprudenza di legittimità ammette la possibilità di cumulo tra la carica di amministratore e quella di lavoratore dipendente. Invero la giurisprudenza della Suprema è ormai assestata nel ritenere che la qualifica di amministratore di una società commerciale non è di per sé incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società Corte (cfr. Cass. civ. Sez. I, Sent., 30/09/2016, n. 19596; Cass. civ. Sez. Lavoro, Sent., 01/02/2012, n. 1424; Cass. civ. Sez. Lavoro, Sent., 19/04/1999, n. 3886; Cass. civ. Sez. Lavoro, Sent., 08/02/1999, n. 1081).
Nel caso di lavoro dirigenziale il vincolo della subordinazione deve necessariamente essere valutato mediante il ricorso a criteri c.d. complementari o sussidiari, visto che si tratta di prestazioni lavorative che per la loro natura non si prestano all’esecuzione sotto la direzione del datore o con una continuità anche negli orari.
Tale accertamento richiede: la verifica del contenuto dello statuto e delle delibere societarie, dalle quali devono risultare le specifiche direttive di volta in volta impartite dalla società per l’espletamento delle prestazioni che caratterizzano l’attività dirigenziale, con la puntualizzazione che tali direttive, espressione del potere gerarchico, non debbano comunque risolversi in prescrizioni di tipo preventivo e meramente programmatico che la sussistenza di un simile rapporto di lavoro dipendente risulti concretamente dall’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e riconducibili invece allo schema della subordinazione, intesa, come noto, nel senso di soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso.
In questi casi al fine di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato di tipo dirigenziale andrà verificata: l’assunzione con la qualifica di dirigente; il conferimento della carica di direttore generale da parte dell’organo amministrativo; la cessazione del rapporto mediante licenziamento; il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo del datore di lavoro; l’assoggettamento alle direttive e agli ordini del datore anche se attenuato dall’effettiva autonomia decisionale in capo al dirigente. Sul tema si richiamano anche le più recenti: Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 28/02/2025, n. 5318; Cass. civ., Sez. I, Ord., 30/12/2024, n. 35068, Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. 19/01/2021, n. 813; Cass. civ., Sez. lavoro, Ord. 14/07/2020, n. 14972; Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ord., 12/04/2019, n. 10368.
Anita Crosara